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In camper in Romagna, tra i borghi e la natura dell'Appennino forlivese

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Stefano Brambilla
Viaggio on the road tra quattro borghi Bandiera arancione: Premilcuore, Bagno di Romagna, Portico e San Benedetto, Castrocaro e Terra del Sole

L'articolo è stato realizzato grazie al mezzo fornito da APC - Associazione Produttori Camper, partner di Touring Club Italiano per la valorizzazione del territorio e la promozione del turismo all'aria aperta.

È inizio giugno, le nuove foglie dei faggi scintillano al sole, i torrenti scorrono vivaci, riempiendo pozze e marmitte, scrosciando tra le balze giù da questi Appennini verdi e brillanti, verso l'Adriatico."Merito delle piogge di maggio" dicono tutti "quest'anno avremo acqua per un bel po' di tempo...". È sempre incredibile come ci voglia un attimo per abbandonare la via Emilia o l'A14 che porta alla Riviera romagnola e ritrovarsi in mondi altri, diversi, verrebbe quasi da dire selvaggi se non fossero popolati da tempo immemore e davvero a un tiro di schioppo dalla pianura. Però la sensazione è quella, quando arrivi per esempio sul Rabbi, uno dei tanti corsi d'acqua della provincia di Forlì, e ti fanno scoprire cascate e orridi immersi nei boschi che sembra di essere in un parco nazionale canadese. "Benvenuto a Premilcuore" ci accolgono Federica, Catia e colleghi, impiegati comunali orgogliosi della loro ricchezza verde, mentre scendiamo dal nostro camper, mezzo di elezione per scoprire queste terre.


L'area sosta camper Ridolla a Premilcuore - foto Stefano Brambilla

PREMILCUORE, PISCINE E MULINI
Nomi che già sono un programma, tanto son belli. Dell'etimologia di Premilcuore non v'è certezza, Rabbi invece deriva da rapidus, come è in effetti questo torrente idilliaco. Parcheggiamo il camper nell'area di sosta appena più in alto delle prime due attrazioni locali: non chiese, non monumenti, ma piscine naturali - la Lastronata e il Mulinaccio, dove l'acqua è così limpida da volerla bere, o tuffarcisi, a seconda. Ora ci sono solo merli e scriccioli, insieme a noi, "ma quando arrivano le calure d'agosto, qui sembra riversarsi tutta la pianura" sorride Gioele Fabbri, che con i genitori ha creato una cooperativa (la Ridolla) che a Premilcuore offre sistemazioni, ristorazione, un bel maneggio in un luogo altrettanto idilliaco. Gioele ci conduce, poco più in alto, alla gorga della Sega: le cascate del Rabbi hanno davvero segato le rocce, millenni addietro. Altro locus amoenus da urlo. E urla Gioele cercando di sovrastare il rombo dell'acqua, mostrandoci un volume in inglese che parla del "nuoto libero in acque dolci" in Italia che ha dedicato intere pagine a Premilcuore. Giustamente, viene da dire, guadando il fiume poco più in alto, davanti alle Grotte urlanti - di nuovo l'urlo - magnifiche formazioni del Rabbi proprio sotto un antico ponte romano.   


La cascata della Sega a Premilcuore - foto Stefano Brambilla

Premilcuore è Bandiera arancione, ovvero borgo certificato dal Touring per le sue qualità turistiche e ambientali, il primo che incontriamo in questo itinerario. Grandi le attrazioni, piccolissime le dimensioni: neppure mille gli abitanti, soltanto tre le famiglie che da 40 anni tengono a galla il turismo, quella di Gioele, l'agriturismo di Montalto e il ristorante/casa vacanze Fiumicello, nell'omonima frazione a monte. "Facciamo la pasta, alleviamo maiali, qui vengono a mangiare anche da lontano" ci raccontano questi ultimi. Gente che ha deciso di rimanere, investendo nella montagna, provando a dare una speranza a un territorio che anno dopo anno vede ridursi drammaticamente il numero dei suoi abitanti. Gente tosta, entusiasta, come Maurizio Sansavini, che ci aspetta al mulino Mengozzi, sempre a Fiumicello, per mostrarci come lavoro, passione, energia abbiano rimesso in sesto uno degli antichi, bellissimi mulini che costellavano queste valli fino a poco tempo fa (e che sbriciolavano le castagne, tra le poche fonti di sostentamento della gente locale). "Vedi questo laghetto? È il bottaccio, l'invaso dove viene deviato il torrente per poi portare acqua alle pale... Era pieno di sassi e di terra, insieme a Domenico l'abbiamo svuotato". Domenico è "il" Mengozzi, che insieme a Maurizio (suo genero) ha riaperto il mulino nel 1993, dopo trent'anni di stop. E ha seminato intorno alla struttura le sue sculture in pietra serena, un vero percorso d'arte. Potremmo andare avanti per pagine, ma non vogliamo rivelarvi troppo: passate dal mulino, un weekend, Maurizio sarà quasi sicuramente lì, pronto a raccontarvi.


Il mulino Mengozzi a Fiumicello, frazione di Premilcuore - foto Stefano Brambilla

Pensiamo al Trentino o al Salisburghese, ai loro parchi fluviali ben organizzati, ai caschetti in testa e alle passerelle tra le gole. A Premilcuore tutto è molto più naif, nel bene e nel male: siamo tra quelli che apprezzano naturalità e libertà, e che tornerebbero subito a Premilcuore, ma forse qualche servizio in più non guasterebbe (e poi: perché, in certi siti, i cartelli vietano la balneazione, ma nessuno sembra che li veda?). Una passeggiata è comunque d'obbligo farla anche nel piccolo borgo, dove si entra nel centro visite del parco nazionale delle Foreste Casentinesi e si scopre una piazzetta pare voluta da donna Edvige, sorella di Mussolini, che qui abitava, e che voleva vedere dalla sua finestra la chiesa di San Lorenzo... peccato che ci fossero alcune case, a ostruirle la vista...

BAGNO DI ROMAGNA, TERME E LAGHI
Via con il nostro camper, sulle colline verso est, in un tripudio di campi, di ginestre fiorite, di strade panoramiche che già da sole valgono il viaggio. Passata la valle del Bidente, valicato il passo del Carnaio, ecco quella del Savio - da queste parti le valli sono tutte parallele, dette "a pettine" dai geologi, non bisogna avere fretta per salire e scendere, scendere e salire, cambiando cento volte le marce. Dicevamo, il Savio: come il Rabbi non ci mette molto a sfociare nell'Adriatico, a differenza dei corsi d'acqua che scendono appena al di là del crinale, verso il Tirreno (due nomi per tutti: Tevere e Arno). Ma la ricchezza a Bagno di Romagna, il secondo Comune Bandiera arancione del nostro viaggio, è derivata più che altro dalle piogge di... diecimila anni fa. "Sì, diecimila anni fa, hai capito bene" racconta Margherita Gentili, direttrice delle Terme S. Agnese, mentre ci avviciniamo con un bicchiere alla fonte all'interno dell'hotel. "Stai per bere un'acqua preistorica!". Miracoli della natura: nel tempo, l'acqua è penetrata nel sottosuolo per due chilometri, si è riscaldata per effetto geotermico e si è arricchita di elementi naturali... per poi sgorgare tra i 39 e i 47 °C. Qui, oggi. "Le nostre sono acque bicarbonato-alcalino-sulfuree, minerali, ipertermali e termali" spiega la direttrice. Ovviamente sono utilizzate a scopo terapeutico fin dai tempi dei Romani, i soliti gaudenti.


La piscina all'Hotel Terme Roseo - foto Stefano Brambilla

Bagno ha altre dimensioni rispetto a Premilcuore. Quasi seimila gli abitanti, divisi tra Bagno stessa e San Piero in Bagno, due borghi che si guardano simpaticamente in cagnesco fin dalla notte dei tempi (un classico esempio di campanilismo all'italiana) ma anche in tante frazioni sparse sui colli vicini (d'altra parte, il territorio comunale è tra i più estesi della regione). E qui si ha più dimestichezza ad accogliere turisti, lo si vede subito dagli ombrelli colorati che rallegrano Via Fiorentina, dai parcheggi pensati anche per i mezzi di una certa dimensione come il nostro camper, dalla gente sorridente che entra ed esce dai tre hotel/terme/centri benessere che sfruttano le acque - il Roseo, il S. Agnese, l'Euroterme. Uno diverso dall'altro, peraltro: il Roseo più intimo, raffinato; il S. Agnese storico, ideale per i gruppi; l'Euroterme perfetto per le famiglie, grazie alle grandi piscine esterne. "E da tempo c'è un consorzio che li riunisce" spiega Emi, figlia del gestore del Roseo. "Giochiamo tutti in sinergia, per la promozione di Bagno di Romagna". 


Via Fiorentina a Bagno di Romagna - foto Stefano Brambilla

Anche noi, che non siamo certo tipi da centro benessere, iniziamo a pensare che forse dovremmo farci più spesso un salto, dopo aver ricevuto un rinvigorente massaggio all'Euroterme, sorseggiato un aperitivo al Roseo e gustato i tortelli alla lastra al S. Agnese. "Ma poi l'offerta di Bagno non si ferma certo qui" ci risveglia Caterina, l'energica pr del Comune. "Nel nostro territorio, ci sono il lago di Ridracoli, la foresta della Lama, i laghetti Lungo e Acquapartita, il Sentiero degli gnomi proprio qui sopra il Savio...". Bisognerebbe dedicare un paragrafo per ognuno di questi, ma verrebbe fuori un papiro: basti dire che il parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna qui si esprime alla massima potenza. D'altronde, nel Comune è sita anche la foresta di Sasso Fratino, dal 2017 Patrimonio dell'Umanità Unesco, un bosco così vetusto e selvaggio da essere stato dichiarato riserva integrale: nessuno vi può accedere, la natura è libera di fare il suo corso. "Ma ci sono molti altri luoghi più semplici da scoprire" spiega Omar Polini, cha ha da poco rilevato il bel campeggio Alto Savio, dove ci fermiamo per la notte. Omar è un appassionato camminatore e un instancabile manutentore dei sentieri della zona, un'altra di quelle persone che hanno scelto una vita meno facile: lui, poi, viene da Cesenatico, dall'altra Romagna... "Ti potrei citare decine di mete per un'escursione: l'eremo di Sant'Alberico, ai piedi del Fumaiolo, dove vive ancora un eremita; le cascate di Alfero, dove puoi fare il bagno; il rifugio Nasseto...". E via andare - se avete voglia di camminare o pedalare, chiedete a Omar, non rimarrete delusi.

PORTICO E SAN BENEDETTO, CASCATE E PONTI
Senza alcun senso logico, da Bagno di Romagna ritorniamo due valli indietro e ci inerpichiamo con il camper per le strade della valle del Montone. Di nuovo i campi che lasciano il posto ai boschi, a mano a mano che si sale: e pensare che qui, fino a pochi decenni fa, di bosco ce n'era proprio poco, anzi quasi nulla, tutto era coltivato a foraggio e a cereali. Segno inequivocabile dello spopolamento della montagna che tutto l'Appennino vede fin dall'immediato dopoguerra: lo osserviamo strabiliati in una foto che ritrae la cascata dell'Acquacheta nel 1920. La cascata era circondata da coltivi, senza segni di un albero nei paraggi; oggi, così come la vediamo dal balcone panoramico, dopo novanta minuti di escursione tra ruscelli cristallini e faggi, è circondata da un bosco fittissimo, quasi impenetrabile. Viene spontaneo chiedersi come fosse ai tempi di Dante, che la rese immortale citandola nel XVI Canto dell'Inferno. 

All'Acquacheta si arriva (a piedi) da San Benedetto in Alpe, parte del Comune di Portico e San Benedetto, la nostra terza Bandiera arancione: qualcuno dice che nell'antica abbazia bendettina Dante stesso soggiornò e scrisse alcune parti della Commedia. Vero o non vero, certo vi avrebbe trovato ispirazione: il contesto è selvaggio, ancora una volta, il nucleo di case grazioso, il giardino davanti all'abbazia straripante di fiori. E la cripta - unica parte dell'edificio orginario - particolarmente suggestiva. Così come sono suggestivi i ponti di Bocconi e di Portico, i due centri abitati poco più a valle: in pietra, a schiena d'asino, sorpassano elegantemente le fresche acque del Montone da chissà quanti anni. Sotto quello di Bocconi non resistiamo: anche se siamo ancora lontani dall'afa dell'estate, ci buttiamo. L'acqua è troppo limpida, il contesto troppo invitante. Cinque minuti e siamo fuori tremanti, pronti a rifugiarci nel camper e a ristorarci con pane e raviggiolo (lo squisito formaggio locale). Ma ce lo ricorderemo a lungo, questo bagno.


Il ponte di Bocconi - foto Stefano Brambilla

"La struttura di Portico di Romagna è rimasta eccezionalmente quella medievale" ci spiega Massimo Assirelli, ex assessore del Comune "tre piani ben distinti, collegati da tanti passaggi pedonali". Un paesaggio ancora leggibile facilmente: fate due passi prima lungo il fiume, osservando gli orti e le suggestive case-torri, un tempo abitate da artigiani e agricoltori; poi salite a quello intermedio, dove sono situati i palazzi nobiliari; e ancora più su, troverete il maschio, ovvero la torre quadrangolare, con la chiesa e il palazzo dei Capitani del Popolo. "Tra le famiglie nobiliari c'era anche quella dei Portinari: ti ricordi che la Beatrice di Dante si chiamava così?". La sua torre è stata oggi recuperata e sede di mostre ed eventi - Portico dà vita a tante manifestazioni, a partire da quella che lo trasforma nel paese dei presepi, a dicembre. "Ogni anno ne realizzo uno a tema, nella torre... ancora top secret il soggetto 2019". Anche a Portico la decrescita demografica è costante: ma qualche segnale di speranza c'è, come la famiglia che da anni gestisce l'albergo diffuso Al vecchio convento (i figli, dopo essersi sposati, sono rimasti in paese con i genitori) e la scuola di italiano per stranieri.  


Portico di Romagna - foto Stefano Brambilla

CASTROCARO TERME E TERRA DEL SOLE, ROCCHE E CITTÀ IDEALI
Già a Bagno c'eravamo accorti di qualche stranezza della storia. A Bagno la Via Fiorentina e il palazzo del Capitano, costellato di stemmi, accennano alla lunga dominazione di Firenze. In Romagna? Siamo sicuri? Scopriamo poi che Portico fu per anni proprio la capitale della Romagna Toscana: un pezzo di Toscana oltre il crinale appenninico che era stato possedimento dei Medici fin dal 1404. A Castrocaro e a Terra del Sole, infine, l'ultimo Comune Bandiera arancione del nostro viaggio (vi giungiamo seguendo verso valle il Montone), ogni cosa parla di questa storia. "Una storia lunghissima: pensa, queste terre rimasero in Toscana fino al 1923, quando Mussolini le volle spostare in provincia di Forlì" ricorda Elio Caruso, presidente della Pro loco di Castrocaro Terme. 

La prima parte della vicenda la si scopre alla Rocca di Castrocaro, uno dei quei beni ingiustamente poco conosciuti - forse perché il Comune è ben più noto per il suo centro termale, attualmente in via di ristrutturazione, e per il festival della canzone. "I Medici, quando acquisirono l'area, rafforzarono un castello già preesistente da secoli" spiega Elio durante una appassionata e lunghissima visita guidata "ma già nel Cinquecento l'importanza militare del paese declinò e la Rocca fu abbandonata del tutto nel 1676". Un fatto singolare, che ne ha consentito una conservazione eccezionale fino ai nostri giorni: a differenza di molti altri castelli, nessuno intervenne più sulla sua struttura, rimasta in rovina sino alla fine degli anni Novanta del Novecento. "Dopo i restauri, siamo riusciti a farla diventare un museo" racconta Elio, che alla Rocca ha dedicato la sua vita insieme alla scomparsa moglie Marta "museo che abbiamo aperto nel 2000 e che vorremmo potenziare ancora di più, dando lavoro ai giovani... ma ancora non siamo riusciti a trovare un modo per aumentare i visitatori. Fate pubblicità, mi raccomando!". La facciamo ben volentieri, perché l'opera di racconto di Elio è davvero encomiabile; e perché basterebbero gli Arsenali medicei, recentemente riportati alla luce, per giustificare una visita. Spazi enormi, inconsueti, inaspettati, con volte a botte e pareti aggettanti di quel sasso spungone tipico dell'area - una pietra ricca di fossili dove ancora si possono scoprire conchiglie marine di ere passate. Pensare che c'è ancora tutta un'ala della Rocca che attende di essere liberata dalle macerie del tempo...


Gli arsenali medicei alla Rocca di Castrocaro - foto Stefano Brambilla

Per scoprire la seconda parte della storia, invece, bisogna andare qualche chilometro più in là, a Terra del Sole. Dove si rimane strabiliati. Perché non c'è nulla di simile in Italia: una piccola città ideale, fondata nel 1564 per volere di Cosimo I de' Medici, che sarebbe dovuta diventare la nuova prestigiosa sede degli “uffizi” medicei nella Romagna Toscana. "E che anche qui è rimasta integra nella sua struttura e nei suoi spazi" spiega Andrea Bandini, della Pro loco locale. "Tutto ha proporzioni armoniche, dalla piazza centrale - con la chiesa e il palazzo dei Commissari - agli edifici e ai due castelli lungo i bastioni difensivi". Nel 1572 le case di Terra del Sole erano già abitate da 25 famiglie; poi, nel Seicento, il progressivo declino, fino a che nel 1770 la struttura fu smilitarizzata. Da non perdere la visita del Museo dell'uomo e del territorio, negli spazi del palazzo, e le casematte sotto le mura, magari durante i giorni del palio di Santa Reparata, con le due contrade pronte a sfidarsi a colpi di balestra antica; ma soprattutto è da assasporare l'atmosfera del borgo perfeettamente simmetrico, il fascino dei bastioni rinverditi da cipressi e alberi da frutto, il paesaggio intorno, ancora integro, con i campi, le ultime colline prima della pianura, i filari di ulivi. "Stravedo per Terra del Sole" ci dice il sindaco Marianna Tonellato"e vorrei mettere a punto un percorso narrativo, magari una rappresentazione teatrale, un museo virtuale". Noi ci uniamo al suo desiderio: questo territorio è talmente singolare che merita di essere più valorizzato, conosciuto, reso accessibile. Perché la Romagna toscana torni a splendere come un tempo. 
 

Le mura di Terra del Sole - foto Stefano Brambilla

INFORMAZIONI
- Premilcuore. Sito web Turismo Premilcuore e scheda borgo sul sito Bandiere arancioni. L'area camper, a pagamento, è situata nel Parco di Fontanalda (via Fiorentina) e comprende attacco luce, servizi, area scarico; immersa nel verde, in posizione ideale per scoprire a piedi il borgo e le piscine naturali lungo il fiume; è gestita da Ridolla Cooperativa Agroippoturistica (www.ridolla.com), che offre tra l'altro anche la possibilità di cenare nel vicino, ottimo agriturismo con prodotti locali. 
- Bagno di Romagna. Sito web Bagno di Romagna Turismo e scheda borgo sul sito Bandiere arancioni. L'area camper (senza servizi) è sita in prossimità dell'uscita "San Piero in Bagno" della superstrada E-45; consigliabile piuttosto usufruire del bel campeggio Alto Savio (www.campingaltosavio.it), poco lontano dal paese, dotato di tutti i servizi, e poi - per visitare il paese - lasciare il mezzo nel parcheggio presso l'hotel Euroterme. Sul sito web di Bagno di Romagna anche i riferimenti dei tre complessi termali.
- Portico e San Benedetto. Sito web del Comune  e scheda borgo sul sito Bandiere arancioni. Nessuna area sosta, anche se il parcheggio all'entrata di Portico e quello di Bocconi (ideali per esplorare i paesi) possono ospitare camper (nessun servizio). A San Benedetto campeggio Acquacheta (www.campingacquacheta.it); per chi vuole visitare l'abbazia e percorrere il sentiero verso la cascata dell'Acquacheta, consigliabile invece il parcheggio indicato sulla statale 67 a sinistra (provenendo da Forlì), oltre il ponte. 
- Castrocaro Terme e Terra del Sole. Sito web del Comune e scheda borgo sul sito Bandiere arancioni. L'area camper si trova in via Biondina 88, a metà strada tra Castrocaro e Terra del Sole (10/15 minuti a piedi da entrambi); è gratuita, con possibilità di scarico; acqua ed elettricità sono a pagamento. 

Altro sito web utile per programmare la visita: parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna (www.parcoforestecasentinesi.it).

 
L'articolo è stato realizzato grazie al mezzo fornito da APC - Associazione Produttori Camper, partner di Touring Club Italiano per la valorizzazione del territorio e la promozione del turismo all'aria aperta.

Il campeggio Alto Savio a Bagno di Romagna - foto Stefano Brambilla
1 Luglio 2019

Che cosa vedere e fare a Catania, Taormina e sull'Etna

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Paolo Madeddu
In Sicilia: i consigli e le esperienze imperdibili, dal mare alle granite, dal vulcano agli aperitivi. Provati per voi
L'aumento esponenziale di turisti stranieri in Siciliaè il tipo di attestato che di questi tempi coglie di sorpresa gli italiani, il complimento che non ci si aspetta. Eppure i dati, a partire da quelli dell'Osservatorio Turistico Regionale o di Confartigianato, fotografano un consenso crescente. Alle spalle dei francesi (oltre il 20% delle presenze estere), dei tedeschi e di soggetti sempre difficili da accontentare come britannici e americani, crescono anche cinesi, canadesi e - immancabilmente - i russi. Gli italiani? Stabili.

La sensazione è che vivendo sempre di più le vacanze come atto pubblico, da ostentare sui social, questi luoghi (...o questi hashtag) non ritengano questi luoghi abbastanza esotici e misteriosi. Eppure, anche in un giro breve (da 3 giorni a una settimana) come quello che vi proponiamo, in un'area ristretta come quella tra l'Etna e Catania, ci sono parecchie buone ragioni per capire l'entusiasmo degli stranieri. Abbiamo provato a osservarli per riassumerle, scoprendo che i cliché dello storytelling siciliano (dal Padrino a Montalbano) non li impressionano: è semplicemente la bellezza a farlo.
Cominciamo secondo logistica, ovvero, grazie all'aeroporto di Fontanarossa, da Catania. Lo fanno tutti o quasi: approfittano della vicinanza tra lo scalo e la città e vengono a dare un'occhiata, magari mettendo in preventivo un giro breve, in vista di destinazioni successive. Invece, scoprono che, per quanto Catania sia veloce, di tempo ce ne vuole un po' di più.
 
1. CATANIA
- Lava in centro. Da sempre la città ha una vitalità che la distingue da altri capoluoghi siciliani ma in questi anni sembra aver trovato modo di domare questa vocazione vulcanica e metterla a frutto - un po' come l'uso della pietra lavica per strade, palazzi e monumenti, a cominciare dal basalto della Fontana dell'Elefante. 
- Fuoco e acqua. Quando apprendono che l'eruzione del 1669 costrinse il fiume Amenano a rifugiarsi sotto terra, i visitatori rimangono affascinati: dopo tutto, non ci sono molti altri esempi. Il cosiddetto "tour dell'acqua"è un modo per toccare alcuni punti cruciali della città, dalle Terme Achilliane all'Acquedotto Romano, dal Balneum Benedettini alla Fontana dell'Amenano che fa idealmente la guardia alla Pescheria, il mercato antico con un che di saraceno all'ombra del Duomo. 

 
- Il barocco. L'atteggiamento degli italiani è forse sintetizzato dalla famosa frase di Alberto Savinio: "Il barocco a Catania è una malattia eruttiva". Ma gli stranieri ci diventano matti. Non girano col cellulare sguainato quanto gli italiani, ma non possono fare a meno di immortalare il Duomo, o Sant'Agata, o San Benedetto, la Chiesa della Collegiata, o il Teatro Massimo Vincenzo Bellini (nome che suscita sempre un brivido). Non manca mai di colpire la fantasia il fatto che l'esplosione di questo stile sia sostanzialmente dovuta al terremoto del gennaio 1693 e alla successiva ricostruzione della città. Non c'è modo di buttare giù la gente che vive da queste parti: ricomincia sempre - aggiungendo qualcosa.
- La via Etnea. Ideale collegamento tra il fuoco del vulcano e l'acqua del mare, è anche lei una figlia del terremoto. Incredibilmente lunga, e notevolmente larga perché molte delle vittime del sisma che colpì la città alla fine del Seicento perirono a causa di strade principali troppo anguste. Visto poi come i superstiti trovarono scampo nel piazzale che allora si chiamava u burgu (oggi piazza Cavour), si decise di inserire a intervalli relativamente regolari piazze ampie e importanti, da piazza Stesicoro a piazza Università, per dare ulteriore respiro a una via di quasi tre chilometri che è uno dei (tanti) luoghi di aggregazione di Catania. Qui c'è lo shopping, qui mascoli e fimmine si taliano (ovvero, si guardano con un misto di considerazione, sfida e languore vero. O simulato ad arte), qui ci sono le pasticcerie. E qui - fin dagli anni Trenta - si svolge tra i catanesi la discussione infinita: dove si trovano i cannoli, le cassate, le granite migliori? E in particolare, sono meglio gli arancini di Savia o quelli di Spinella? Gli avventori alla prima esperienza rimangono sbalorditi da entrambi; l'importante è ricordar loro che qui si dice arancini (con la I), mentre a Palermo si dice arancine (con la E), e nessuno si farà male.
- Gli aperitivi.Catania ha modalità di movida abbastanza peculiari. Dall'area presso Palazzo Ursino ai vicoli attorno alla Pescheria, si alternano (e a volte sovrappongono) aspirazioni hipster e schiettezza rustico-marinara, dal signorile MA al battagliero Pub Nievski, dai chioschi (o ciospi) di strada con selz, limone e sale all'elegante Etnea Roof dell'UNA Hotel con la sua vista sontuosa, dal Caffé del Porto al Cortile Capuana. Per chi ama lo street food, c'è quello a base di pesce di Scirocco, del quale è apprezzabile anche la ruspante location proprio dietro al Duomo (vedi indirizzi sotto). En passant, una delle cose per cui ringraziare Catania è che la musica è spesso molto ricercata - sarà che qui c'è una tradizione anche recente di musicisti di un certo livello (Battiato, Carmen Consoli, Mario Venuti). Imprevedibilmente, uno dei generi più amati è lo swing, forse un'eredità dello sbarco degli americani durante la Seconda Guerra Mondiale. Non è improbabile imbattersi in un flash-mob di una delle scuole di ballo locali, o in uno spettacolo della big band di Sebastiano Benvenuto Ramaci, la HJO Jazz Orchestra. Qui, lo swing piace persino ai tedeschi.
 

Scirocco Sicilian Fish Lab, Catania
 
2. ETNA
- Bellezza impossibile. Una coppia di Manchester, venuta a festeggiare il 25mo anniversario di matrimonio, fatica a mettere ordine nei pensieri dopo l'escursione. "To live here, you must be crazy" ("Per vivere qui, dovete essere pazzi") mormora lui. "My God, who would live on a volcano? But it's so beautiful. And the people here is so lucky, to be crazy" ("Mio Dio, chi vivrebbe su un vulcano? Ma è così bello. E la gente qui è così fortunata, così folle"). La domanda in effetti è pertinente: a chi verrebbe in mente di vivere addosso a un vulcano attivissimo? Tuttavia non è solo questione di bellezza, di paesaggio lunare, di eruzioni pirotecniche o del contrasto tra il nero della lava e il verde dei boschi: 'a muntagna (l'Etna è fimmina) è più madre che matrigna, rende il terreno spettacolosamente fertile grazie alla ricchezza di minerali e crea opportunità di lavoro di varia natura - per esempio, chissà quanta gente al nord sa che qui si scia. Anzi, durante la gita, anche in primavera ed estate è consigliabile portarsi una felpa: stiamo parlando di una delle cime più alte d'Europa. Anche se si sta abbassando: ultimamente misura 3.250 metri. E menzioniamo soltanto di sfuggita il fatto che si sta muovendo, perché per quello ci vorrebbe un geologo. Pensandoci, è una buona idea.

 
- Salire con un geologo. Si può fare anche da soli, ma sarebbe un peccato. E non solo perché la parte più alta del vulcano non è visitabile senza una guida (ed è oggettivamente imperdonabile perdersela). Ma anche per sapere su cosa si sta camminando. Per scoprire quanto può essere veloce la lava, per farsi dire quanto può essere sparata lontana una bomba vulcanica, per apprezzare le differenze tra i vari tipi di eruzione, per capire come mai la Valle del Boveè la meta preferita dalle colate, per accorgersi che i pini, con quell'aria elegante, sono in realtà dei tipacci aggressivi che sono in grado di crescere nelle rocce laviche e che fanno una guerra senza esclusione di colpi alle betulle. Se siete fan di Game of Thrones, per capire come si forma il vetro di drago, ovvero l'ossidiana, o cosa fanno così allineati i Monti Sartorius lungo le fratture eruttive. Oppure, come si è formata sul versante nord-occidentale la Grotta del Gelo, una ghiacciaia gigante a 2000 metri sul mare, nella quale il ghiaccio si accumula da tre secoli. O come si sono formate le bellissime e freddissime...
- Gole dell'Alcantara. Geograficamente sono tra Castiglione di Sicilia e Motta Camastra, sostanzialmente sono anche loro un prodotto dell'Etna, il risultato di colate di lava basaltica che incontrando il fiume Alcantara si sono raffreddate velocemente producendo forme geometriche stupefacenti. Il fiume fa da cerniera tra le province di Catania e Messina, così come tra l'Etna e i monti Peloritani: con stivaloni o mute vi si può entrare per una passeggiata nelle acque caratterizzate da un freddo veemente (o, se siete russi o tedeschi, da un piacevole tepore). L'ingresso nel Parco è a pagamento, la visita può essere guidata o libera lungo i sei chilometri di cascate, laghetti e canyon che si stringono fino a 2 metri, in uno degli scenari più belli di tutta la Sicilia - l'affermazione sembra impegnativa, ma chi c'è stato la potrà convalidare.


 
- Circumetnea. Con frequenza piuttosto regolare, il quotidiano britannico The Guardian esorta i concittadini a regalarsi la "amazing experience" della ferrovia a scartamento ridotto che dal 1885 abbraccia il cono del vulcano, collegando Riposto a Catania. Naturalmente le vetture non sono così vetuste - d'accordo, c'è ancora una littorina del 1937 in servizio, ma non è detto che vi capiti proprio lei: è più probabile che usufruiate di un nuovo, comodo treno polacco. Ma il resto, dalle stazioni (che attenzione, non coincidono con quelle delle FS) al panorama, è cambiato poco da quando Vittorio Emanuele III o Edmondo De Amicis salirono a bordo. Per la velocità, per esempio, si può fare poco - del resto il dislivello da colmare è di circa 750 metri.
- Un posto a scelta. Se i giorni da trascorrere in zona sono pochi, forse è il caso di optare per uno solo dei paesi del Parco dell'Etna; la scelta di seguire la pista del turismo straniero ci porterebbe a Nicolosi, la Porta dell'Etna, dalla quale nel 1787 passò J.W. Goethe accompagnato dal pittore Heinrich Kniep nella sua salita verso il vulcano. La maggior parte dei turisti lo imita, partendo da qui, in auto, per il Rifugio Sapienza. Ma pensandoci, Zafferana Etnea, col suo liberty e il suo nero basalto inverosimile e le sue iniziative turistiche - a partire dall'Ottobrata - sono a soli 11 chilometri, quindi vi autorizziamo a largheggiare e visitare entrambe.
 
3. TAORMINA
- Da porta a porta. Corso Umberto I, da Porta Catania (quella a sud) a Porta Messina (quella a nord), è la "vasca" da percorrere finché non si trova il proprio angolo, che può essere una boutique, una chiesa (raramente se ne vedono così tante in uno spazio così limitato), una gelateria, il belvedere sullo Ionio, i giardini della Villa Comunale sognati nell'Ottocento dalla scozzese Lady Trevelyan, o una delle innumerevoli vetrine ricolme di ceramica. Anche se non avreste mai pensato di mettervi in casa una enorme pigna di ceramica colorata, dopo un po' a furia di vederne l'idea inizierà a sembrarvi del tutto naturale e sensata. Per certi versi è come passeggiare nel Corso Italia di Cortina d'Ampezzo; ma senza nulla togliere alla "perla" del Nord, qui i turisti stranieri sono un po' di più. In fondo è la sua vocazione, dai tempi dei Greci a quelli degli Arabi, dai Normanni al jet-set internazionale della Dolce Vita che orbitava attorno al Bar Mocambo - o nel caso degli artisti del Novecento, a Casa Cuseni. 
- Teatro Antico. Un concerto visto qui è uno spettacolo doppio. Scavato nella roccia, adagiato tra il mare e il vulcano, tra la città e i castelli, memore delle lotte tra gladiatori e belve così come de La dea dell'amore di Woody Allen, per questa estate è stato prenotato da Dream Theater, America, Nick Mason dei Pink Floyd, Caetano Veloso, Il Volo, Subsonica, Massimo Ranieri, Irama, Eros Ramazzotti, Fiorella Mannoia, Levante, Antonello Venditti. E non è un mistero tra i promoter italiani che italiani e stranieri vengano più che volentieri, a farsi rimirare in tanta cornice. Per quanto riguarda la lirica, tra luglio e agosto 2019 ci saranno Cavalleria Rusticana, Pagliacci, Tosca, La Traviata, Aida, Carmen, Turandot. In tutto questo, è quasi scontato menzionare a chi vada la preferenza degli stranieri: i due concerti di Andrea Bocelli del 30 e 31 agosto sono sold out già da parecchio tempo. 


 
- Giardini Naxos. Fu il primo approdo dei Greci in Sicilia, e non è difficile immaginarsi gli sguardi compiaciuti dei coloni di Calcide e Nasso al momento dello sbarco, dopo il quale colonizzarono tutta la Sicilia Orientale. Fino alla fine dell'Ottocento il "Borgo dei Giardini" era una frazione di Taormina, oggi non potrebbe mai esserlo stanti gli oltre novemila abitanti e un'identità precisa, più mediterranea e meno impegnativa, più rilassata della sua controparte chic, la romana Tauromenium. Anche se alcune cose vengono ancora condivise: per esempio, la stazione ferroviaria, con la sua spiazzante eleganza liberty. E naturalmente, il panorama.  
- In barca. Se questo tipo di escursione non è il vostro forte, non fatevi vincere dalla ritrosia: lo spettacolo naturale che vi si presenterà può valere persino un po' di mal di mare. Il giro standard lungo il litorale prevede uno sguardo alla baia di Naxos, la Grotta del Giorno, il Capo Taormina, l'incredibile Isola Bella, la fantastica Grotta Azzurra, la baia di San Nicola e quella di Mazzarò. E quando il nocchiero sa il fatto suo, impreziosisce l'esperienza con cenni affascinanti sulla storia del territorio - e delle costruzioni che si vedono dal mare. 
 
 
4. ESPERIENZE FONDAMENTALI
- Mangiare. Siamo giunti alla conclusione che mangiare male in Sicilia, ma soprattutto in questa zona, sia difficile. Certo, non è impossibile: quando c'è la volontà, si può ottenere tutto.
- Bere. Così come nella maggior parte dei casi la lava dell'Etna sa che deve andare nella valle del Bove, anche i vini dell'Etna al primo sorso sanno dove andare e quanto scaldare (o rinfrescare, a seconda dei casi).  I vitigni di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio delle pendici del vulcano, grazie ai terreni di origine lavica e alla forte escursione termica tra giorno e notte creano vini intensi ma non aggressivi. Bianchi, rossi, rosé, spumanti - non manca nulla. 
- Annusare. L'aria non è indifferente alla vegetazione abbondante e inverosimilmente varia. Ogni secondo si inspira almeno un lontano refolo di pini e fichi d'india, agrumi e bouganvillee, con uno sfondo lontano di salsedine - e, a seconda dell'ora, di tutte quelle cose buone che vi stanno preparando (vedi alla voce: Mangiare).
- Guardare. Le luci sul mare dopo il tramonto. I colori dei dolci - ma in effetti, di tutti i cibi coloratissimi. La gente, visibilmente contenta di vivere qui. Le onde. Un vulcano.

I NOSTRI SUGGERIMENTI
- Per dormire e mangiare.
Non possiamo non consigliarvi gli hotel che ci hanno ospitato: sono davvero fenomenali. Per la serata a due, l'UNAHOTELS CapoTaormina (tel. 0942.572800; sito web) ci sembra imbattibile - per la terrazza a strapiombo sul mare con vista che spazia dall'Isola Bella al vulcano, e per il ristorante La Scogliera. Sappiamo che non è per tutte le tasche - ma altrettanto sinceramente, forse è altrove che vale la pena risparmiare. Per la vacanza familiare, invece, più indicato l'UNAHOTELS Naxos Beach Sicilia (tel. 0942.662445; sito web), resort ampio e attrezzato per le attività dei bambini, dotato di spiaggia privata, immenso giardino, piscina olimpica, diving center, campi da tennis e da calcetto, e diverse tipologie di ristoranti. Per tutti, a Catania, da provare Palace Catania - UNAEsperienze, moderno 4 stelle in un palazzo storico - con impareggiabile terrazza panoramica - al centro della via Etnea (tel. 095.2505111; sito web).
- Per la Circumetnea e i suoi orari, www.circumetnea.it
- Per la gita in barca sul litorale da Naxos all'IsolaBella, Taormina Escursioni (tel. 338.3591014).
Per il tour Catania Velata, Sharing Sicily (tel. 391.3953279; www.sharingsicily.com), che promuove attività, tour ed esperienze per conoscere la Sicilia più autentica.
Per l'escursione sull'Etna, ma anche alle Gole dell'Alcantara, il gruppo Truvatura (www.etnatruvatura.com; tel. 338.1949777); per ulteriori informazioni sulle Gole, www.parcoalcantara.it (tel. 094.2989911).
Per i dolci, a Catania la Pasticceria Savia (via Etnea 302) e/o Pasticceria Spinella (via Etnea 292). Se siete dalla parte opposta della via, non disperate, c'è il Prestipino Café (via Etnea 30).
- Per la granita, il Bam Bar di Taormina (via di Giovanni, 43).
Per l'aperitivo, il Bar Svevo dell'UNAHotel CapoTaormina (via Nazionale 105).
Per lo street food, a Catania in piazza Alonzo di Benedetto 7, Scirocco - Sicilian Fish Lab (www.sciroccolab.com; tel. 095 8365148).
Per il vino, Antichi Vinai 1877, della famiglia Gangemi: vini dell'Etna e autoctoni siciliani: Petralava, Mascalese, Neromosso, Bollenere; si trovano nelle vinerie ed enoteche che si rispettino, e su www.antichivinai.it; la sede centrale è in via Castiglione 49, Passopisciaro (Ct).
- Per informarsi. Naturalmente le nostre guide sulla Sicilia, dalla Guida Verde alla Guida Verde Pocket Catania: le trovate tutte su questa pagina del nostro store online, dove potete acquistarle scontate. Oppure nei Punti Touring e in tutte le librerie.
 

UNAHOTELS CapoTaormina
9 Luglio 2019

In Valsesia, uno spettacolare itinerario con la mountain bike a pedalata assistita

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Jacopo Zurlo e Stefano Brambilla
Nella valle a nord del Piemonte, con vista sul Monte Rosa. Ecco perché mettersi in gioco, con l'aiuto di una guida
 
"Ecco, ora è il momento di mettere il boost!". Non ci facciamo pregare: premiamo il tasto e via con la potenza maggiore della nostra e-mtb, che non è altro che una mountain bike a pedalata assistita. D'altronde, per le nostre gambe di città questa è una salita che merita un aiuto: perché non si creda che le biciclette con il motore poi vadano da sole... "Al contrario, però devi saperle utilizzare: spesso è meglio procedere a un'andatura media, con un aiuto intermedio, piuttosto che perdere l'equilibrio con una andatura veloce!". Chi parla sono Roberto e Alberto, le nostre guide, che ci stanno aprendo la pista in una spettacolare giornata di fine giugno. Attorno, le spettacolari montagne della Valsesia, nel nord del Piemonte: una zona ancora poco nota per chi ama andare in bicicletta, eppure ricca di percorsi (e di splendidi panorami), visto che sono quasi 120 i chilometri di piste tracciate.

Ma andiamo con ordine. Siamo partiti da Scopello, un piccolo paese in fondo alla valle. Da qui una seggiovia porta fino all'Alpe di Mera, a 1500 metri di quota, un incantevole alpeggio con un fantastico panorama sulle montagne intorno: il bello è che - per la prima volta dopo anni - si può caricare la bicicletta sull'impianto, risparmiandosi i tornanti della strada carrozzabile (ovviamente chi è più allenato di noi avrà piacere di percorrere anche quelli). "L'Alpe di Mera fa parte del comprensorio Monterosa Ski, così come Alagna" ci spiegano mentre ci prepariamo a partire "tutta la Valsesia è più spesso associata agli sport invernali, in particolare al freeride, ma è altrettanto godibile d'estate: non ti pare?". Basta un'occhiata al Monte Rosa che svetta davanti, con quella parete sud così straordinariamente simbolica, per essere d'accordo. 


IL PERCORSO 2, DALL'ALPE DI MERA A SCOPELLO
Il percorso che proviamo a testare oggi è uno dei quattro tracciati sul territorio, per la precisione quello contrassegnato con il numero 2. "Non ti spaventare, eh... adesso affrontiamo la salita con calma". In effetti l'incipit lascia perplessi: una ripida sterrata ci si para davanti. Ce la faremo? "Non ti preoccupare: metti la potenza boost e seguimi con calma". Roberto ha ragione: in poco tempo arriviamo al punto più alto. E qui inizia il bello. Perché si pedala tra cespugli di rododendri e di mirtilli, con qualche camoscio che si allontana non troppo lontano. La sensazione è bellissima. Il sentiero è incredibilmente panoramico, l'aria è frizzante: che cosa volere di più? 
 

"Guarda quanta acqua scende dalle montagne" ci fa notare Alberto. Vero: i torrenti, complici le piogge primaverili, sono impetuosi e scintillanti. In certi punti ritorniamo bambini schizzando veloci nelle piccole pozze sul sentiero e spruzzandoci di fango. Alcune cascate ci fanno fermare per un selfie da mandare agli amici, ogni tanto le malghe raccontano storie di alpeggi e di pastori. E anche di miele, visto che da queste parti se ne produce di squisito.


Si passa l'alpe di Meggiana e l'alpe Sorbella. Presso Bosa ci fermiamo nuovamente. "Ecco, questo è un tratto da affrontare con prudenza: si tratta di una discesa abbastanza ripida, con molti tornanti. Se non te la senti, nessun problema ad accompagnare la bicicletta a mano" spiega Roberto. In effetti, per qualche decina di metri lo facciamo anche noi, intimoriti dal percorso. Niente di particolare, beninteso: ma nonostante la forcella ammortizzata non ci fidiamo troppo delle nostre capacità. Più che altro, ci rendiamo bene conto di quanto ci hanno consigliato all'inizio: sempre meglio farsi accompagnare da una guida, in Valsesia. Un po' perché è sempre bello farsi raccontare il territorio; un po' perché la maggior parte dei tracciati richiede qualche sfida che è meglio affrontare insieme a qualcuno che conosce bene l'area. È un po' una esperienza oltre i nostri limiti, almeno per noi ciclisti di città: ma che soddisfazione, e che adrenalina!



Dopo un bel bosco di faggi il percorso scende più graduale verso Rassa, dove ci fermiamo per un pranzetto al bar Heidi: difficile trovare un nome più adatto per un ristoro idilliaco tra i boschi e il torrente Sorba, senza alcuna casa intorno. "Hanno appena cambiato gestione: possiamo offrirti polenta e spezzatino?". Non ci facciamo pregare, tanto poi è tutta discesa: si pedala su strada asfaltata fino al ponte di Quare, dove ci si ricongiunge con la pista ciclabile che percorre tutta la Valsesia e si ritorna a Scopello. In totale, abbiamo macinato 28 km e pedalato per un paio d'ore, senza però contare tutte le soste a scattare fotografie, ad ascoltare le nostre guide e a mangiare: il che significa che si può affrontare l'itinerario 2 con calma in un'intera giornata.


GLI ALTRI PERCORSI CICLABILI
Come dicevamo, la Valsesia offre anche altri tre percorsi ciclabili oltre a quello che abbiamo sperimentato. Il primo, il più indicato anche per le famiglie, segue tutto il fondovalle: logico quindi farlo in discesa, partendo da Alagna Valsesia (ma il dislivello non è mai troppo impegnativo, per chi vuole farsi un po' di gambe). Si caratterizza per la sua accessibilità, visto che ogni tratto ha un punto di entrata segnalato lungo la strada provinciale; la lunghezza totale è di circa 29 km e i segnavia gialli che lo indicano sono contraddistinti con il numero 1.
 
Un altro percorso, segnalato dal numero 3, è invece quello che collega l'Alpe di Mera a Bielmonte, un'altra stazione sciistica in provincia di Biella. È un itinerario per chi è più allenato, che si sviluppa su ampie sterrate attraversando l'Oasi Zegna e regalando magnifici panorami; i chilometri sono sempre una trentina. L'ultimo percorso è invece una novità del 2019: battezzato con il numero 4, parte da Guardabosone o da Borgosesia (i due tratti iniziali si uniscono all'altezza della chiesetta nel bosco di Vanzone) e prosegue per Varallo, attraversando quindi la parte bassa della Valsesia. La parte terminale dell'itinerario permette di scoprire il Sacro Monte di Varallo, tesoro d'arte patrimonio Unesco, raggiungibile con la più ripida funivia d'Europa. 



INFORMAZIONI
- Sul sito web dell'Alpe di Mera, www.alpedimera.it, trovate sia le descrizioni dei percorsi (con cartine e tracciati gpx) sia i punti di noleggio biciclette e di assistenza (bike ed e-bike).
- La stessa cartina che raggruppa i percorsi 1, 2, e 3 è disponibile presso gli Uffici del Turismo di Varallo, Scopello, Alagna Valsesia e negli esercizi commerciali distribuiti lungo quest’asse contrassegnati dal bollino giallo con lo stesso simbolo della cartellonistica. Nella mappa, presente anche nelle bacheche posizionate in più punti lungo i percorsi, vengono segnalati punti di accesso, stazioni di ricarica per biciclette a pedalata assistita e i punti più impegnativi da affrontare. Un'altra cartina è disponibile per il percorso 4.
- Che cosa vedere in Valsesia oltre all'Alpe di Mera e alle piste ciclabili? Ecco il nostro articolo dedicato!

Per la nostra esperienza abbiamo utilizzato la mountain bike a pedalata assistita X1R+ del nostro partner Brinke Bike (www.brinkebike.com). 
 
 
10 Luglio 2019

Che cosa vedere in Luberon, cuore della Provenza

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Deborah Terrin
Itinerario in Francia tra abbazie, campi di lavanda, musei interattivi e borghi gioiello
 
A poco più di un’ora d’auto da Marsiglia e dal glamour della Costa Azzurra, il Luberon è il cuore della Provenza. Una teoria di vigneti e uliveti, un paesaggio costellato da campi di lavanda, borghi autentici e villaggi storici come Gordes e Lourmarin, tra “i più belli di Francia”; un’ospitalità che spazia da hotel lussuosi a dimore più familiari ma sempre affascinanti, un paradiso per "grand gourmand", ovvero per grandi buongustai, dove la terra restituisce ingredienti genuini che ispirano piatti raffinati.
 
I confini sono in parte quelli di un parco naturale regionale, da scoprire in modo slow, nel rispetto di una natura che ne governa i ritmi; una meta che si può vivere in tanti modi differenti, a seconda degli interessi, magari sperimentando le dieci mete da non perdere (i "coups de coeur", come li chiamano i francesi) selezionati per voi.
 
1. IN BICICLETTA, TRA CAMPI E VIGNETI
Con i suoi 37 chilometri, da fare anche in mezza giornata, la Véloroute du Calavon fa parte di quel circuito di itinerari in bicicletta che attraversa tutto il Luberon, per un totale di 236 chilometri. La ciclabile verde segue il tracciato dell’ex ferrovia tra Robion e Les Beaumettes, per proseguire poi verso Apt e Saint-Martin-de-Castillon. Ci si muove lungo strade dedicate esclusivamente alle due ruote non motorizzate o in parte miste, con un colpo d’occhio suggestivo su distese di lavanda, filari di vigneti e paesini dall’atmosfera provenzale. Adatto a tutta la famiglia, il percorso è ben segnalato e attrezzato con punti di sosta, acqua potabile, aree pic-nic e strutture per il noleggio di biciclette anche elettriche.
 

Véloroute du Calavon - foto D. Terrin
 
2. IL FASCINO DI GORDES
Arroccato come la maggior parte dei borghi del Luberon, Gordes colpisce per l’inconfondibile profilo disegnato dal castello e da una schiera di edifici disposti a terrazza tutt’intorno al villaggio. Fermarsi qui solo per la visita della parte alta è però un peccato: il consiglio è quello di uscire dai percorsi più battuti e scendere nel quartiere di Fontaine Basse, fino agli antichi lavatoi, immaginando la vita nel Settecento, tra calzolai, tintori e cardatori di lana, o di ricercare le tracce della vita medievale alle Caves del Palazzo St Firmin, un sito semi-trogloditico scavato nella roccia.
 

Gordes - foto D. Terrin
 
3. IL MUSEO DELLA LAVANDA A COUSTELLET
Nato dalla volontà di Château du Bois, produttore e distillatore di lavanda dal 1890, il Museo della lavanda di Coustellet rappresenta un’occasione unica per imparare davvero tutto sulla varietà fine, quella più pregiata, molto diversa dal classico "spigo" che cresce in pianura (un ibrido tra due specie). Il percorso interattivo, tra alambicchi e flaconi di profumo, rivela tutti i segreti di questa specie, che cresce dagli 800 metri in su ed è l’unica con proprietà terapeutiche. Nello shop si possono acquistare oli ed essenze certificate A.O.P., a garanzia della qualità della lavanda fine utilizzata, mentre nell’atelier si organizzano simpatici laboratori multisensoriali aperti anche ai bambini (dai 6 anni in su).
 
Attorno al Museo della Lavanda - foto Museo della Lavanda di Coustellet
 
4. UN ASSAGGIO DI GIBASSIER A LOURMARIN
Adagiato sul fianco sud del massiccio del Luberon, Lourmarin sfoggia un castello edificato nel XV secolo con un’interessante ala rinascimentale. Il grazioso centro storico è ricco di stradine lastricate di pavé, su cui affacciano colorati atelier, deliziosi ristoranti e negozietti come la caratteristica Maison du gibassier, in rue Savornin, dove assaggiare il dolce tipico che dà il nome alla boulangerie. Biscotto di pasta frolla preparato con olio d’oliva, il gibassier assomiglia alla focaccia dolce provenzale ma con una consistenza più croccante.
 
Il negozio di Lourmarin - foto D. Terrin
 
5. IL GIARDINO DELLE PIANTE TINTORIE DI LAURIS
Sono oltre cinquanta i riquadri di terreno a tema che compongono Colour garance, Jardin Conservatoire des Plantes Tintoriales; un giardino unico in Europa con oltre 250 piante, autoctone ed esotiche, coltivate in modo ecologico e utilizzate per estrarre coloranti vegetali per tinture, prodotti di cosmesi o alimentazione. Classificato come giardino d’eccellenza, Colour garance propone interessanti visite guidate dove si impara ad esempio che per ottenere colori duraturi è meglio usare la pianta più che il fiore, e così per produrre un rosso permanente si sceglie la radice di robbia – la garance che da il nome al giardino – e non il fiore di papavero. Il giardino, aperto da maggio a ottobre, organizza anche piacevoli workshop a tema.
 

Colour garance - foto D. Terrin
 
6. IL MUSEO DELL'OLIO A OPPÈDE
Oltre mille oggetti esposti su una superficie di 300 metri quadrati per un allestimento museale davvero giovane; aperto a giugno di quest’anno, il Museo dell’olio di Oppède è di proprietà del Domaine de La Royère, bell’esempio di riconversione ad agricoltura biologica di parte dei campi della tenuta vitivinicola. Attrezzi e oggetti legati alla storia familiare, alambicchi e macchinari di ultima generazione permettono di imparare di più sulle tecniche di produzione dell’olio e il funzionamento del mulino, aperto da ottobre a dicembre.
 

Il Museo dell'olio a Oppède - foto D. Terrin
 
7. IL MERCATO A COUSTELLET 
Ogni domenica mattina, il piccolo centro di Coustellet si anima per il tradizionale mercato dei produttori locali. Ben 420 aziende, selezionate a non più di cinquanta chilometri di distanza dal paese, garantiscono una spesa a chilometro zero, che sia frutta o verdura di stagione, specialità agroalimentari, oggetti di artigianato, spezie colorate o prodotti al profumo di lavanda. Meglio arrivare di mattina presto, quando il mercato è meno affollato e si può passeggiare e contrattare con più facilità.
 
Prodotti tipici a Coustellet - foto D. Terrin
 
8. L'HOTEL D'AGAR A CAVAILLON
Insolito, bizzarro e unico nel suo genere, il museo Hotel d’Agar di Cavaillon è classificato come monumento storico e allestito in un palazzo privato, costruito sulle antiche terme romane. Le sue stanze ricolme di oggetti tra i più disparati sono la testimonianza della storia millenaria della città; un dedalo di camere quasi labirintico, tutte piene di vasellami antichi, strumenti musicali ancora funzionanti come la spinetta, dipinti di scuola caravaggesca e suppellettile di ogni foggia. Dal 18 luglio al 30 ottobre il museo ospita la mostra “Caravaggio in Provenza”, con due opere inedite del maestro.
 

Il museo Hotel d'Agar a Cavaillon - foto D. Terrin
 
9. L'ABBAZIA DI SÉNANQUE
Racchiusa in fondo al suo vallone, immersa tra campi di lavanda coltivati dai monaci cistercensi tornati ad abitare qui nel 1988, l’abbazia di Sénanque è un luogo di assoluta suggestione. L’antico dormitorio illuminato dal rosone centrale, il chiostro esterno con il giardino ornamentale e la sala capitolare, dove ancora oggi vengono prese tutte le decisioni relative alla vita del monastero, la chiesa abbaziale e il calefactorium, sono volutamente spoglie in osservanza alla regola benedettina, ma ugualmente maestose nella loro severa nudità. Da giugno è possibile effettuare la visita dotati di tablet, con materiale video che compara l’uso delle sale in epoca medievale e odierna.
 

L'abbazia di Sénanque - foto Giraud/OTLMV
 
10. UNA CENA STELLATA A DOMAINE DE FONTENILLE 
Una villa nobiliare del Settecento immersa in un parco di cedri secolari, d’estate teatro di concerti sotto le stelle, uno spazio interno dedicato a mostre temporanee, 35 ettari di vigneti e una produzione di vino da agricoltura biologica, fanno di Domaine de Fontenille una tappa imperdibile per sperimentare il lato charmant dell’accoglienza provenzale. Il ristorante, insignito di una stella Michelin, è il regno dello chef Jerome Faure che propone menù realizzati con prodotti di stagione.
 
Domaine de Fontenille - foto D. Terrin
 
INFORMAZIONI
- Per viaggiare in libertà, consigliamo di noleggiare un’auto a Marsiglia, raggiungibile dall’Italia con volo via Parigi o con il treno Thello (www.thello.com) da Milano, oppure alle stazioni TGV di Avignone e Aix en Provence (https://it.oui.sncf/it/). Il Luberon è toccato dall’autostrada A7 a ovest e A51 a sud, verso Pertuis.
- Oltre a consultare i siti dell’Ufficio del Turismo Luberon Coeur de Provence (www.luberoncoeurdeprovence.com) e Atout France Italia (it.france.fr) non dimenticare di portare con voi le guide Provenza, collana Routard, e Provenza e Costa Azzurra, Guide Verdi d’Europa e del Mondo. Da comprare nei Punti Touring, in tutte le librerie e online sul nostro store
- Siti web delle attrazioni segnalate: bicicletta in Provenza, veloloisirprovence.com; Museo della lavanda, www.museedelalavande.com; Couleur Garance, www.couleur-garance.com; Museo dell'olio, www.museehuiledolive.com; Hotel D'Agar, hotel-dagar.com; Abbazia di Sénanque, www.senanque.fr; Domaine de Fontenille, www.domainedefontenille.com.
 
 
 
11 Maggio 2019

In camper nel Gargano: le spiagge più belle e la Foresta Umbra

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Fabrizio Milanesi
Da Mattinata a Vieste, fino a Peschici per uno spicchio di Puglia che racchiude il meglio del Mediterraneo
Dalle cale di sapore greco incastonate tra strapiombi di falesie a lunghi arenili sabbiosi, dai boschi di montagna al silenzio degli antichi monasteri. Il Garganoè uno dei vanti pugliesi, territorio che in pochi chilometri racchiude colori e atmosfere così diverse tra loro.
 
Il Gargano è una destinazione da non perdere se se si ama il viaggio in libertà. E il camper è un mezzo che rende il senso di libertà accessibile a molti, se non a tutti. Possiamo darvi qualche consiglio, o meglio farvi una proposta per una vacanza in camper che dal mare vi porta a scoprire l’entroterra del promontorio. Eccoci in Gargano, con l’unica avvertenza che in agosto strade e campeggi sono davvero frequentatissimi.
 
Si può ipotizzare un arrivo da Foggia, dopo aver attraversato i margini orientali del Tavoliere. Dalla A14 si imbocca la Statale 89 che attraversa con un lungo rettilineo prima il paesaggio della pianura, poi una zona brulla e pietrosa. Dopo circa 30 chilometri si incontra a destra la chiesa di San Leonardo di Siponto, cui seguono la chiesa di Santa Maria Maggiore di Siponto e la cittadina di Mandredonia.
 
Se avete un camper, pensate a un’assicurazione conLinea Strada InCamper, il prodotto innovativo e conveniente di Vittoria Assicurazioni dedicato al mondo del camper!

Per richiedere un preventivo personalizzato, basta andare sul sito www.rcamper.it o chiamare il numero verde 800 403060: in pochi minuti potrete scoprire i vantaggi esclusivi dell'offerta ed acquistare direttamente la vostra assicurazione!
 
DA MATTINATA A VIESTE, SPIAGGE E VISTE MOZZAFIATO
La strada litoranea Provinciale 53 che corre da qui in avanti ora un po’ interna ora a picco sul mare, è un viatico per soste panoramiche, spuntini di mare e bagni rinfrescanti. Prima di goderne si può programmare una sosta a Mattinata, l’unico paese della Puglia adriatica che affaccia a Sud, proteggendosi dalle sferzate di tramontane e maestrali.
 
Riprendiamo la nostra litoranea, davvero consigliata per i panorami che si aprono e per le spiagge in cui sostare, ora si supera il porto di Mattinata arrampicandosi sui versanti della montagna a strapiombo sul mare. Si può scegliere di regalarsi un bagno d’acqua e sole sulle spiagge di Tor di Lupo o Fontana delle Rose. Oppure poco più in là, sulla Baia dei Campi e la cala di San Felice, con la torre e il celebre Architiello traforato nella roccia. Si vede ora, protesa nel mare, Vieste, che raggiungiamo costeggiando a destra prima la spiaggia di Portonuovo, quindi la spiaggia del Castello, con la roccia modellata dal vento che punta l’arenile.
 
Eccoci a sostare nel centro turistico più importante del Gargano con uno splendido nucleo storico che si sviluppa tra viuzze, scalinate, archi, piazzette e case bianche, racchiuso tra il castello svevo, nella parte più alta e punta san Francesco, che si allunga in modo spettacolare sul mare.
 
Vieste / foto Getty Images
 
DA VIESTE A PESCHICI
Riprendiamo ristorati la litoranea che congiunge i due più importanti centri turistici del Gargano, fra torri saracene e trabucchi per la pesca si alternano spiagge sabbiose lunghe e attrezzate: San Lorenzo, Dietro San Lorenzo, Punta Lunga, Molinella– e calette di sabbia incastonate tra le rocce. La lunga spiaggia di Scialmarino, dai bassi fondali sabbiosi è l’ideale per gli amanti degli sport acquatici o anche solo per assistere alle spettacolari evoluzioni di kitesurf. Alle spalle, la chiesa di Santa Maria di Merino fu eretta nei pressi di un abitato romano. Al termine della spiaggia, l’Oasi naturalistico-archeologica La Salata offre un affascinante intreccio di natura e archeologia: la necropoli, immersa nella macchia e affacciata sul mare, è la più preziosa testimonianza paleocristiana del Gargano.
 
Proseguendo si trovano spiagge lunghe e sabbiose, quelle della Chianca e di Crovaticco, quella di Sfinalicchio e Sfinale. Si entra nel territorio di Peschici con la baia di Manaccora, dove merita una visita la grotta omonima. Per vivere un “momento freak” c’è la bella spiaggia di Zaiana, separata da uno spuntone di roccia dalla lunga spiaggia di San Nicola. Siamo ormai quasi a Peschici, con la strada che si immerge nell’ombra delle pinete.
 
Il paese domina il paesaggio da una rupe a picco sul mare; la parte più antica, circondata da mura che ancora si possono vedere e toccare. Qui si viene per il mare, l’atmosfera tipicamente mediterranea e una sensazione di buon vivere che si associa spesso a mangiate memorabili. Ci sono buoni ristoranti e la possibilità di pranzare o cenare su un trabucco (come quello storico di Mimì).
 
Nel centro storico si trovano scorci di una bellezza singolare attorno a vicoletti su cui affacciano costruzioni medievali, spesso coperte a cupola e tinte di calce bianchissima: e con le luci della notte si disegna un presepe. Ora si può muovere all’interno, disegnando con il vostro mezzo quasi un anello che parte da San Nicandro Garganico per concludersi a Rignano Garganico.
 
Peschici / foto Getty Images
 
NELL’ENTROTERRA, SCOPRENDO LA FORESTA UMBRA
Da San Nicandro Garganico si segue verso est la Statale 89, raggiungendo Cagnano Varano in 20 chilometri, da cui si prosegue per vico del Gargano e si entra finalmente nella Foresta Umbra. Ben 12000 ettari di riserva statale, dove prosperano faggi, aceri, cerri ed enormi lecci che in qualche caso superano i 30 metri di altezza. Guidare sulla ex Statale 528 è come entrare in un affascinante gioco di luci e ombre, tra mille gradazioni di verde. Una buonissima idea se se ne ha voglia e possibilità è dedicare una giornata a un trekking scegliendo tra i quindici sentieri segnalati e attrezzati dal corpo forestale dello Stato. Una rete di 54 chilometri con lunghezze per tutte le gambe.
 
Tra i più belli c’è quello del “Laghetto di Cutino d’Umbra”, uno specchio d’acqua montano. Camminando per poco più di un chilometro si arriva alla Riserva Falascone, dove svettano faggi e tassi maestosi. Nella Riserva naturale statale degli Sfilzi, tra faggi aceri e cerri secolari, si trova l’unica sorgente montana del Gargano. Andando oltre la Casa cantoniera e la riserva di caprioli, il bosco si dirada per lasciare posto al paesaggio dell’altopiano, dove è facile incontrare mucche Podoliche, tipiche del Gargano. Se poi si volesse pensare a una gita alle isole Tremiti, sono moltissimi gli operatori che navigano con traghetti e motonavi, aliscafi e imbarcazioni private.
 
Il laghetto di Cutino d’Umbra / foto Getty Images
 
LE AREE DI SOSTA 
La maggior parte delle strutture turistiche del Gargano apre stagionalmente, da maggio a settembre, mesi in cui sono molti i campeggi attrezzati per la sosta. Il mese di agosto registra il massimo afflusso. Segnaliamo delle aree attrezzate di sosta:
A Mattinata, area Eden Park: contrada Funni. tel. 3489209465, 3389076110. Sosta a pagamento per 10 euro a giugno, 17 euro a luglio, 22euro ad agosto. Aperta da aprile a settembre.
A Peschici, area Dattoli: S.P della Marina 1, tel. 0884 964014-963429. Sosta a pagamento. Aperta da marzo a settembre.
A Vieste, area Sosta camer Vieste: al chilometro 5 della S.P. 52, contrada Santa Lucia, tel. 0884706471. www.sostacampervieste. Sosta a pagamento. Aperta tutto l’anno.
 
L’ASSICURAZIONE PER I CAMPERISTI
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LE GUIDE E IL PARADISO TCI ALLE ISOLE TREMITI
- Questo itinerario è ispirato in gran parte dalla Guida Verde Puglia. Acquistala scontata sul nostro store on line oppure nei Punti Touring.
- Per informazioni dettagliate sulla riserva marina delle Isole Tremiti consultate il sito www.tremiti.eu. Il sito web del Parco nazionale del Garganoè www.parcogargano.gov.it.
- Scopri il Villaggio Tci alle Isole Tremiti, leggi il nostro approfondimento.
23 Luglio 2019

L'incanto del Parco nazionale dello Stelvio tra itinerari slow e trekking spettacolari

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Luca Sartori
Lo spettacolo della natura all'ombra dell'Ortles-Cevedale, dal versante lombardo a quello del Trentino-Alto Adige
È un angolo di Alpi che custodisce un immenso patrimonio naturale. Si sviluppa all’ombra del gruppo dell’Ortles-Cevedale il parco nazionale dello Stelvio, tra incantevoli scenari e una natura rigogliosa. Situato nel cuore delle Alpi Centrali, è un tipico parco montano che si divide tra Lombardia, Trentino e Alto Adige, straordinaria alternanza di cime e vallate, boschi di conifere e praterie alpine.
 
Una terra dove alle fresche temperature estive si sostituiscono i rigidi e nevosi inverni e dove la fauna conta, solo tra i vertebrati, oltre 250 specie, tra cui i grandi rapaci come il gipeto e l’aquila reale, ricche colonie di ungulati come cervi e stambecchi e altre specie tipiche degli ambienti montani come ermellini, marmotte e lepri bianche.
 
DAL 1935, TRACCE DI STORIA CONTEMPORANEA
Lo Stelvio è natura ma anche storia. Estremo lembo occidentale del fronte della Prima Guerra Mondiale, il parco custodisce una moltitudine di tracce dei tragici anni del conflitto, strade e mulattiere, trincee e villaggi militari sparsi tra la valle di Gavia e quella del Braulio, tra il passo dello Stelvio e la valle dei Forni. Nato nella primavera del 1935, il parco si divide oggi tra 23 Comuni divisi tra la Lombardia, il Trentino e l’Alto Adige.

Ogni Comune del parco è l’ideale inizio di un itinerario di scoperta e esplorazione del parco, dove ai 1500 chilometri di sentieri si uniscono i tanti centri visitatori e punti informazione per approfondire la conoscenza e le curiosità sulle aree dello Stelvio.
 
I percorsi della Grande Guerra / foto Ersaf Stelviopark.it

IL PARCO DELLO STELVIO IN LOMBARDIA
Si dividono tra Sondrio e Brescia i dieci Comuni che compongono la parte lombarda del parco, la più ampia. Un’area ricca di valli e zone naturali dalle differenti caratteristiche, tutta esplorabile percorrendo la fitta rete di sentieri e percorsi tra la valle dei Forni e quella di Fraele, la valZebrù e la Rèit, la val di Rezzalo, gli itinerari naturalistici al Passo dello Stelvio e quelli al Passo Gavia.

Tra i percorsi più suggestivi ci sono il turistico“Sentiero della marmotta”, nella valle dei Forni, percorso che va da Forni al Rifugio Branca, poco più di due chilometri e mezzo per un tempo di percorrenza di 1 ora e 10 minuti, con un dislivello di 312 metri; c’è poi il turistico “Percorso dell’acqua”, nella valle di Fraele, da Valle Alpisella, in località Ponte delle Capre a Livigno, a Sorgenti dell’Adda e ritorno a Valle Alpisella, 5 chilometri di percorso per 1 ora e quaranta minuti di percorrenza per un dislivello di 334 metri. Da non perdere anche il percorso de “Il ghiacciaio della Sforzellina”, nella zona del passo Gavia, poco meno di due chilometri di percorso, per camminatori esperti, per due ore e mezza di tempo di percorrenza per un dislivello di 280 metri.
 
Laghetti di Monticelli nella Valle delle Messi / foto Getty Images

IL PARCO DELLO STELVIO IN TRENTINO
La parte trentina del parco propone, oltre ai tanti percorsi turistici e alpinistici, svariati punti informativi e di contatto con la natura. Interessante l’area faunistica che ospita cervi e caprioli e offre la possibilità di osservarli da vicino e di approfondirne la conoscenza con il supporto d’immagini e pannelli descrittivi. Da vedere anche il Centro Visita Malga Stablèt, punto informativo dedicato alla marmotta, patrimonio faunistico della zona alpina della quale folta è la colonia del parco.

Tra gli itinerari turistici più interessanti di questa parte di parco c’è la “Passeggiata a Malga Fratte basse”, percorso che si snoda tra segherie veneziane e masi, con il sottofondo dell’impetuoso scorrere del torrente, della lunghezza di 4 chilometri e 600 metri per un dislivello di 226 metri e un tempo di percorrenza di un ora e 36 minuti. Il “Percorso del latte e dei masi in Val di Rabbi”, di 4 chilometri e 700 metri di lunghezza, 278 metri di dislivello e due ore e dieci di tempo di percorrenza è invece un itinerario di scoperta della civiltà contadina delle valli Peio e Rabbi che, lungo il tracciato, propone un antico caseificio, oggi museo tematico, che espone utensili per la trasformazione del latte in formaggio.
 
La valle di Rabbi / foto Getty Images
 
IL PARCO DELLO STELVIO IN ALTO ADIGE
È sicuramente l’Alta via dell’Ortles una delle più scenografiche e emozionanti escursioni che partono dalla zona alto atesina del parco dello Stelvio per giungere fino nel versante lombardo, in Valtellina. Con un dislivello complessivo di oltre ottomila metri è uno tra i più impegnativi percorsi d’alta quota dell’intero arco alpino. Percorso per esperti, include anche un tratto di percorso ghiacciato. Poco meno di 120 chilometri divisi in sette tappe che richiedono, ognuna, dalle sei alle otto ore. Un percorso tra la flora e la fauna dello Stelvio, ma anche uno sguardo straordinario sui ghiacciai del gruppo dell’Ortles. Un sentiero circolare che offre scorci mozzafiato, ma anche malghe e rifugi confortevoli. 

Da non perdere una sosta al centro visite “Aquaprad” di Prato allo Stelvio, dove è l’acqua la grande protagonista tra una grande finestra panoramica con vista sulle profondità del lago, e dodici acquari dove si possono ammirare 35 specie di pesci che popolano le limpide acque dell’Alto Adige, ricchissimo di ruscelli, torrenti, laghi e stagni.
 
Il gruppo dell'Ortles / foto Getty Images
 
INFORMAZIONI UTILI
Per aggiornamenti e informazioni utili sui percorsi e attività visita il sito ufficiale del Parco dello Stelvio!
26 Luglio 2019

Sul lago d’Orta in e-Bike

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Fabrizio Milanesi
Una giornata sull’Anello Azzurro tra spiagge, panorami, il Sacro Monte e l’incanto di Villa Crespi
 
“Pedaliamo con calma attorniati dal silenzio del lago, immobile gioiello incastonato tra le Alpi piemontesi…”: potremmo iniziarla così questa storia, ma ci faremmo intorpidire da cliché di "atmosfere rarefatte e angoli incantati", con grande torto per il protagonista di questa storia, il lago d’Orta. Riservato all’eccesso se paragonato ai fasti moderni del lago Maggiore e al glamour patinato del “Como Lake”, la sua bellezza coinvolgente rende timorosi ad darne risalto, pare quasi di fare troppo rumore.

Forse per questo una bicicletta è perfetta per seguirne i contorni e disegnarne i dintorni, sostando ad ammirarne le testimonianze culturali e i panorami più suggestivi. Se poi una bicicletta è una e-bike, i confini si possono anche allargare, i dislivelli fanno meno paura e si può davvero pensare di prendersi una giornata e dedicarla alla scoperta del territorio.
 
Sul lago d'Orta in e-bike / Foto Lorenzo de Simone
 
LA COMPAGNIA DELL’"ANELLO AZZURRO"
Così, ci troviamo in una silenziosa mattina d’estate a programmare un tour a pedali. Lo facciamo ovviamente con calma, gustandoci un caffè e un dolce tradizionale a un tavolino in ferro battuto di una pasticceria di Pella, borgo antico che abita una penisola che affaccia sul lato occidentale del lagoe sovrastato alle spalle da ripide alture di granito.

Prima del caffè ad accenderci i sensi è una sgambata nel cuore del paese, tra la parrocchiale di Sant’Albino e l’antico lavatoio di piazza Ravedoni. Qui di acqua ce n’è sempre stata e molta ha alimentato le cartiere della casa editrice Sonzogno. Ora invece ammirando il tappeto d'acqua che dalla riva attornia la schiena dell’Isola di San Giulio, possiamo decidere il nostro itinerario.

Prendiamo come canovaccio l’Anello azzurro, un percorso tracciato dal Distretto del lago d'Orta e ben segnalato che segue il periplo del lago, e in particolare decidiamo di percorrere il tratto che congiunge Pella ad Orta San Giulio. Andremo un po’ controcorrente, visto che idealmente la partenza è sempre messa a Orta, ma  a rassicurarci su fattibilità ed eventuali pendenze c’è Nyon, computer di bordo delle e-Bike, ma anche gestore di mappe e vero e proprio palmare portatile multifunzione.
 
Il lago d'Orta / foto Lorenzo de Simone

DA PELLA A GOZZANO, SULLA TORRE DEL BUCCIONE
Ci aspettano 14 chilometri di strade asfaltate, sterratini, qualche saliscendi petroso. Si parte. Pedaliamo in modalità “eco” (l’assistenza elettrica Bosch che equipaggia la bicicletta prevede anche “tour”, “sport” e “turbo”, cui si aggiunge la modalità “walk” per spingere a mano nei tratti più impervi o nelle aree pedonali) e ci accorgiamo quante occasioni per rinfrescarsi offra il lago d’Orta.

A un chilometro da San Maurizio d’Opaglio– storico distretto di rubinetterie – si susseguono calette e vere e proprie spiagge attrezzate, alcune anche riparate da pinete. Intanto sopra di noi si intravedono ville storiche ed esperimenti architettonici, residenze di industriali che sul lago vogliono proprio dormirci.
 
Lago d'Orta da Pella / foto Lorenzo De Simone 

In meno di un’ora lo scenario muta, si fa quasi fluviale. Costeggiando il lago verso la punta più a sud si intravedono infatti sempre più fitti dei canneti, che scandiscono la riva alternandosi a macchie di bosco. Incrociamo di tanto in tanto compagnie di ragazzi che a scuole finite cercano le passerelle per qualche tuffo o puntano alla spiaggia di Gozzano, lido di sabbia servito da ristorante, bar e noleggi.
 
Tra i canneti di Gozzano / foto Lorenzo de Simone
 
In questo paesaggio iniziamo a capire perché persino Balzac, in una fuga romantica sul Lago d'Orta lo raccontava con immagini di “rive ora coltivate, ora selvagge: il grandioso e il suo tumulto al di fuori, dentro le proporzioni umane...”.

Per vedere tutto questo in un unico sguardo deviamo dalla riva e puntiamo a conquistare la Torre di Buccione, un mastio medievale che oggi è stato dotato di passerelle in legno e vetro che aiutano a godersi uno dei migliori balconi panoramici del Cusio. Anche in e-bike la salita di circa 15 minuti non è per tutti, conviene forse lasciare le biciclette all’inizio del sentiero segnalato. Con ruote grasse da Mtb si può fare (lo abbiamo fatto in modalità “sport”) e la discesa è anche divertente. Il panorama è per tutti magnifico.
 
Villa Crespi, foto Lorenzo de Simone
 
VILLA CRESPI, DA MILLE E UNA NOTTE
Ci sono luoghi che nel lusso e nella sofisticazione allontanano, respingono, irritano quasi. Non è il caso di Villa Crespi. Immaginatevi, dopo la discesa dalla torre, non proprio freschi di toeletta, entrare con bici alla mano al cospetto un palazzo fiabesco di cupole di archi intrecciati, ornati da stucchi e gessi modellati, dipinti e dorati. Ma se all’ombra delle architetture moresche, volute nei primi del Novecento dall’industriale del cotone e mecenate Cristoforo Benigno Crespi, non ci sentiamo a disagio il merito è dell’accoglienza della famiglia Cannavacciuolo, che da vent’anni abita questa Alhambra prealpina per accompagnare a viaggi nel gusto mediterraneo.
 
L'ingresso di Villa Crespi, foto Lorenzo de Simone
 
I cuscini e il telo damascato lasciati cadere sul prato, le sportine con l’insalata al salmone e pompelmo, il club sandwich in odore partenopeo, le focaccine e i muffin a emporter sono una meraviglia, ma niente rende impacciata la nostra presenza. “Amiamo pensare che chi viene a Villa Crespi non segua l’onda buona dei media o il selfie con il "masterchef", ma riceva una sensazione di comfort che ricordi casa propria"– dice Silvia Ferrari, che coordina vendite e marketing e che ci accompagna nella giornata.

In una residenza da mille e una notte (ne basterebbe una...) sveliamo quindi il nostro arcano. Oggi stiamo replicando un’esperienza che Il relais e chateaux Villa Crespi mette a disposizione per i suoi ospiti. Qui a casa Cannavacciuolo, dopo un pranzo o una cena, o come in questo caso prima di un bucolico pic-nic gourmand, si possono prendere delle e-bike fornite da Bosch per godere della bellezza del lago d’Orta: a voi la scelta, qualche ora verso una spiaggia, una mattinata rilassante oppure un programma più impegnativo verso la Madonna del Sasso o fin sul Mottarone. "Stiamo sviluppando le nostre collaborazioni in ambito turistico affiancandoci sempre a strutture che condividano con noi valori di qualità e affidabilità come Villa Crespi, eccellenza del lago d'Orta" spiega Federica Cudini, Marketing Manager Bosch eBike Systems Italia.
 
Il pic-nic gourmand dei Cannavacciuolo a Villa Crespi / foto Lorenzo de Simone
 
ORTA SAN GIULIO, IL SACRO MONTE E L'ISOLA
Dopo il pranzo la pedalata riprende. A poca distanza, il Sacro Monte di Orta San Giulio. Dove affacciandosi per la prima volta ad una delle venti cappelle non pare quasi vero, si ha la sensazione di aver sbagliato indirizzo, quasi si dovessero dare due colpi di campanello. All'interno si trovano infatti statue in terracotta a grandezza naturale, impegnate a far rivivere i momenti più importanti della vita di San Francesco.
 
 
A progettare le cappelle e la struttura di sentieri e giardini che le collegano fu nel 1590 Cleto da Castelletto Ticino, ma fu nel ‘600 che i pittori le colorarono a tinte forti trasformando il percorso devozionale in uno spettacolo barocco. Natura, arte, religione, storia e uno splendido panorama sul lago d’Orta hanno convinto in poco tempo l’Unesco a nominarlo Patrimonio dell’Umanità, insieme ad altri otto Sacri Monti di Piemonte e Lombardia, e che la Regione Piemonte dal 1980 tutela come Riserva Naturale Speciale del Sacro Monte di Orta.
 
Il Sacro Monte di Orta, sito Unesco / foto Lorenzo De Simone

Dai 300 metri di altezza del Sacro Monte si scende pianissimo tra strade strette e tortuose di Orta San Giulio, borgo certificato dal Touring con la Bandiera arancione. Il consiglio è condurre a mano le biciclette per non perdersi la vista sulle case antiche, palazzi barocchi, balconi fioriti in ferro battuto e scorci irresistibili su miriadi di cortili porticati. “Amazing” si sente sussurrare di continuo dai tanti turisti stranieri che passeggiano investiti di immagini memorabili. “Amazing” davvero, come lo è l’arrivo in piazza Motta, sorta di salottino all’aperto con vista sul lago e sull’Isola di San Giulio.
 
Tra le vie di Orta San Giulio / foto Lorenzo De Simone
 
Il nostro itinerario potrebbe chiudersi qui, in fondo siamo in bicicletta e le e-bike non prevedono l’effetto galleggiamento, nemmeno su un lago quieto come quello d’Orta. Invece, per tornare a Pella approfittiamo del servizio offerto dalla compagnia di navigazione del Lago d’Orta, e in pochi minuti ci troviamo ciuffo al vento e bocca aperta ad ammirare dal lago le rive dell’Isola di San Giulio, rinfrescati dagli spruzzi d’acqua e con le biciclette affiancate a prua. Bici e barca, connubio perfetto per viste mozzafiatosulle rive e sullaBasilica di San Giulio e per rendere l’esperienza indimenticabile.
 
Il servizio Bici+Barca per attraversare il lago d'Orta / foto Lorenzo De Simone
 
SUL LAGO D’ORTA IN E-BIKE, INFO UTILI E CONTATTI
Abbiamo pedalato con delle eBike epowered byBosch, equipaggiate con assistenza elettrica Active Line e Active Line Plus. La batteria da 500 Wh ci ha garantito un'autonomia ottimale per goderci l'intero itinerario senza occuparci dello stato di carica. Il servizio è offero agli ospiti di Villa Crespi.

- Per scoprire tutto sui sistemi Bosch e-Bike vai sul sito www.bosch-ebike.com.
- Per scoprire di più sull’accoglienza e i servizi offerti da Villa Crespi vai al sito www.villacrespi.it.
- Per conoscere possibilità, itinerari, eventi, info utili sul lago d’Orta vai sul sito www.lagodorta.piemonte.it.
- Per scoprire di più sul Sacro Monte di Orta San Giulio vai sul sito www.sacromonte-orta.com.
 
Il ciclocomputer Bosch Nyon / foto Lorenzo De Simone
26 Luglio 2016

In camper in val Venosta, scoprendo l'Alto Adige

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Fabrizio Milanesi
Dalla cascata di Parcines al lago di Resia, passando per la val Senales e i frutteti della val Martello

Guidare in camper in val Venosta si può descrivere con sensazioni di leggerezza. Si viaggia salendo lentamente, tra l’Adige e i frutteti, costeggiando un manto verde di prati e di boschi. Una leggerezza che sta anche nelle sensazioni di quiete che si respirano, perché la Val Venosta è da sempre più appartata rispetto alle più celebrate mete dolomitiche dell’Alto Adige.
 
Il suo fascino le deriva dall’avere vissuto una storia di transiti, confronti tra popoli e lunghi isolamenti. In questo spazio tra la laguna veneta e le rive del Danubio in Baviera, dove lingua e la cultura ladina si radicarono più forti che mai nel medioevo, il territorio è disseminato da torri e chiese romaniche, che ancora custodiscono affreschi di una disarmante bellezza nella loro semplicità.
 
Sul camper si consiglia di caricare le biciclette, per scoprire uno dei percorsi più belli d’Italia, e di lasciare altrettanto spazio per fare provviste di leccornie locali: dal vino da vitigni autoctoni, alle mele del fondovalle, alle fragole della Val Martello, con tutto il coté di confetture, pani e dolci da far girare la testa.
 
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DA FORESTA ALLA CASCATA DI PARCINES
Alla guida allora. Si lascia Merano dirigendosi a ovest, al termine della strada a scorrimento veloce proveniente da Bolzano, e si imbocca la Statale 38 per la Val Venosta nella quale si entra, dopo Foresta, a Parcines. Per il benvenuto in valle, con tanto di brindisi al boccale ci si può fermare dopo Lagundo, nella frazione Foresta. Li sorge il “tempio” della birra locale, la storica birreria Forst. L’alta torre decorata, con cupola a cipolla, non è un campanile come gli altri, ma un impianto di raffreddamento. La Braustuberl e il giardino interno alberato, il Biertgarten, invitano a degustare una delle otto varietà della più famosa birra altoatesina. 

A pochi chilometri ecco invece Parcines, sul versante soleggiato della valle, tra frutteti e meleti, con il borgo raccolto intorno alla cinquecentesca parrocchiale dei Ss Pietro e Paolo, con un campanile a bulbo del 1649. Fra le case si alza la pittoresca mole di castel Stachlburg, che risale al 1200. Un’esperienza originale a Parcines è offerta dalla collezione del Museo della macchina da scrivere, intitolato al suo inventore, Peter Mitterhofer, di cui conserva un raro prototipo in legno del 1864. Per i più piccoli c’è invece Mondotreno Alto Adige in miniatura, la più grande installazione di ferrovie in miniatura d’Italia, con oltre 20 mila pezzi.
 
Una breve quanto spettacolare escursione è quella che vi porta in un’ora e mezzo di cammino (e c’è anche un bus navetta dedicato) alla cascata di Parcines, la più alta dell’Alto Adige, che precipita fragorosamente da un terrazzo roccioso per quasi 100 metri.
 
La cascata di Parcines / www.merano-suedtirol.it
 
SU E GIÙ DALLA VAL SENALES
La deviazione è più di un generico consiglio. Chiusa all’inizio tra le alte pareti rocciose, la Val Senales si apre in un passaggio verdeggiante e si inerpica fra montagne coperte di abeti e larici verso le cime e i ghiacciai delle Alpi venoste. I 25 chilometri tra Naturno e Maso Corto sono scanditi da piccoli nuclei abitati, frazioni dell’unico comune di Senales. Imperdibile è Castel Juval, che sorveglia l’imbocco della valle dal sommo di un’altura. Costruita nel 1278 da Hugo von Montalban, la fortezza è di proprietà di Reinhold Messner che vi ha allestito uno dei poli del Messner Mountain Museum, dove avvicinare le emozioni mitica della montagna..

Per raggiungere Castel Juval senza deviare in Val Senales ci si può fermare anche poco prima di Castelbello, dove il paese di Ciardes è punto di partenza dello Schnalser Waalweg, sentiero panoramico facile e con punti di ristoro lungo un antico canale di irrigazione. Il trekking a piedi dura in media tre ore.

Poco più in là la seconda sosta è a Madonna di Senales. Spicca in paese la parrocchiale, una delle mete di fede più antiche del Tirolo e il Sentiero del Pellegrinaggio, una bella passeggiata ad anello tra prati e boschi. E presso il paese, l’Archeoparc Val Senales ricostruisce la storia della valle e in una vasta area interattiva all’aperto illustra l’ambiente in cui visse Otzi, l’uomo del Similaun.
 
Castel Juval / foto merano-suedtirol.it

DA LACES A FRUTTETI E PANORAMI DELLA VAL MARTELLO
Scendiamo dalla Statale 38 e siamo di nuovo immersi tra i frutteti di fondovalle. Laces è un paese che offre possibilità per piacevoli escursioni sul Monte Tramontana e sul Monte Sole, con funivie rispettivamente per Malga di Tarres e San Martino al Monte. Qui, a 1740 metri, si può salire con una funivia e approfittare di un soleggiato altopiano che domina la valle. Una stradina quasi pianeggiante vi porta in meno di un’ora agli Egghofe, gruppo di case e masi addossati sul fianco della montagna e poco oltre il sentiero apre a mezzacosta un panorama amplissimo sulla Val Venosta e l’Ortles che biancheggia lontano. Cartolina splendida.

La val Martelloè una valle bellissima, appartata e fascinosa, che dal borgo di Morter, in meno di 25 km si addentra tra praterie, abetaie e campi coltivati fino alle nevi e ai ghiacci del Cevedale. Dopo le prime curve, salendo, si apre un sorprendente paesaggio di vasti pianori coltivati: sono i campi di fragole, lamponi, ribes della val Martello, produzione che ha risollevato l’economia agricola della valle. La sequenza di paesi che si toccano in Val Martello comprende Castel Montani, Paradiso di Cevedale.
 
Lo scenario alpino al rifugio Martello / Getty Images

SILANDRO E LASA, TRA ALBICOCCHE E MARMO BIANCO
Lo citiamo sul percorso perché Silandro è il principale centro amministrativo e agricolo della Val Venosta, ma soprattutto perché è dalla sua isola pedonale e dalla Cattedrale dell’Assunta si slancia il campanile più alto del Tirolo, che misura ben 97 metri. Con la sua isola pedonale, i palazzi storici, il passeggio, la sosta ai tavoli dei locali, l’animazione turistica estiva e invernale, il paese si mostra quasi come una città.

Poco più in là un posto dove davvero vale la pena prevedere una sosta: Lasa. È il paese del marmo bianco, estratto dalle cave a 1600 metri di quota sul versante meridionale della valle, apprezzato per l'artigianato artistico delle statue già in epoca antica e qui utilizzato ovunque, nelle chiese, nelle case, nelle scale, nei marciapiedi.

Lo si vede accumulato in candidi blocchi davanti alla stazione. Ogni anno infatti, agli inizi di agosto, una festa gastronomica e culturale, Marmo e Albicocche, racchiude l’essenza di Lasa. Oltre al marmo Lasa è nota per la produzione di albicocche favolose, di un giallo pallido e di un aroma che le rende preziosa materia prima per marmellate, succhi o dolci. Basta assaggiare in paese i Marillinenknodel, canederli con cuore di albicocca.
 
La lavorazione del marmo di Lasa / foto Gourmet-Südtirol

SLUDERNO E GLORENZA, FINO AL LAGO DI RESIA
Allo sbocco della val di Mazia ecco Sluderno, paese agricolo e come si diceva un tempo “di villeggiatura”. Davvero interessante per scoprire il mondo rurale della valle e soprattutto per capire i sistemi di irrigazione dei Waale è il Museo della Val Venosta, in cui è in mostra anche una sezione archeologica espone i reperti dei Ganglegg, insediamento preistorico scavato su una collina nei pressi del paese cui si sale lungo un bel sentiero in circa mezz’ora. 

L’arrivo a Glorenza emoziona. La cinta muraria scandita da torrioni cilindrici e porte sormontate da torri quadrate, si coglie salendo in val di Mazia da Tarces. Anche all’interno Glorenza è un piacere da scoprire, con le sue atmosfere antiche e pittoresche. I portici bassi e un po’ sghembi, le case dai tetti a cuspide, le chiese: tutto riconduce all’epoca in cui Glorenza era un crocevia di traffici tra Germania e Svizzera, Italia e Tirolo.

Siamo quasi a destinazione, il passo ma soprattutto il lago di Resia. Sull’antica strada merita una visita alla chiesa di San benedetto di Malles Venosta, datata VIII secolo, i cui affreschi e i resti di stucchi e marmi sono tra i più antichi dell’intera area culturale di lingua tedesca, di poco posteriori all’incontro di Carlo Magno e del papa nell’anno 800. 
 
Si sale sulla strada passando San Valentino alla Muta e costeggiando il lago artificiale di Resia si arriva a Curon Venosta. Qui si contempla una delle più classiche e famose cartoline dell’Alto Adige, il campanile dell’antica parrocchiale che emerge dalle acque del lago artificiale. Nel 1950 il vecchio centro di Curon Venosta era infatti stato sommerso dalle acque a causa della costruzione della diga. E mentre il vecchio abitato si racconta solo nel piccolo Museo dell’Alta Val Venosta, il lago è più vissuto che mai. D’inverno si pattina sul ghiaccio e nella bella stagione ci sono molti appassionati, anche di kitesurf visto che di vento ce n’è in abbondanza. Eccoci finalmente al passo di Resia, da cui si accede alla svizzera Engadina e alla vallata austriaca dell’Oberland, segnando lo spartiacque tra i bacini dell’Adige, che sorge non lontano, e dell’Inn.
 
Il lago di Resia / Getty Images
 
I SERVIZI PER I CAMPERISTI
Glorenza
: area attrezzata a pagamento P.N. Stelvio, via Lungo Adige prima del ponte a destra; camping Gloria Vallis
Lasa: Camper Service gratuito sulla Statale 38 al km 173 (chiedere la chiave).
Malles:Camping Mals
San Valentino alla Muta:Camping Thoeni
Altri campeggi sul sito ufficiale della Val Venosta.
 
LE GUIDE TOURING 
Questo itinerario è stato ispirato dalla Guida Verde Trentino Alto Adige da comprare nei Punti Touring sul nostro store on line a prezzo scontato!
 
L'ASSICURAZIONE PER CAMPERISTI
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2 Agosto 2019

Cinque piste ciclabili da fare in estate in Italia

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Fabrizio Milanesi
Dall'Alpe Resia all'anello del Parco Nazionale d'Abruzzo, percorsi per tutti per vivere un'avventura sui pedali
La bicicletta è democratica, lo è da sempre soprattutto quando la si associa al tempo libero e alle vacanze. Niente agonismo, nessuna performance... solo sanissimo divertimento. E ora che siamo in estate, che siate in montagna o al mare, in collina o nelle città una bicicletta fa sempre, sempre vacanza.
 
A togliere eventuali dubbi sull’essere in grado di fare qualche chilometro in più sono percorsi ciclabili, ben segnati, mantenuti come si deve e con qualche servizio lungo il percorso. Sì, ma quali? Proviamo a consigliarvi cinque percorsi ciclabili per godervi in modo sano e divertente le vostre pause d’estate.
 
1. IN FRIULI VENEZIA GIULIA, SULLA CICLABILE DELL’ALPE ADRIA
La ciclovia Alpe Adria permette di pedalare in una settimana (o più giorni, a seconda delle abilità) da Salisburgo a Grado. In Italia la ciclabile si snoda in parte sul tracciato della vecchia linea ferroviaria dismessa e da Tarvisio tocca Gemona, Udine, Aquileia e infine Grado sul mare Adriatico. Per percorrerla interamente si deve programmare una vacanza itinerante che duri qualche giorno.
 
Per l’estate però consigliamo di prendere come riferimento il primo tratto ciclabile in Italia, che corre per 75 chilometri tra Tarvisio e Gemona. In questo tratto il grande vantaggio è dato dalla logistica. La ciclabile infatti è tracciata abbastanza lontano da strade e ferrovie per sentirsi immersi nella natura, ma non così lontano così da viaggiare in sicurezza nel caso si cerchi riparo dal maltempo o in caso di piccoli inconvenienti meccanici.
 
- Per info utili e dettagli, vai al sito della ciclabile Alpe Adria
- Scopri di più sulla la ciclabile dell’Alpe Adria, leggi il nostro articolo dedicato!

A Udine, tappa della ciclabile Alpe Adria / Getty Images
 
2. IN TRENTINO ALTO ADIGE, SULLA CICLABILE DELLA VAL DI FIEMME E FASSA
La pista ciclabile della Val di Fiemme e Fassa si sviluppa lungo il fiume Avisio, da Molina di Fiemme fino a Campitello di Fassa. Il nostro consiglio è di farla dalla val di Fassa alla val di Fiemme. È un percorso adatto a tutti che tra curve e piccoli saliscendi collega in totale quasi 50 chilometri tra Alba di Canazei, Pozza di Fassa, Soraga e via via scendendo fino a Moena e Molina di Fiemme, dove si può risalire con lo shuttle Bike Express Fassa-Fiemme.
 
Il panorama, in un verso o nel suo opposto, è in ogni caso magnifico. Si pedala in una cornice dolomitica che non smetterete di ammirare. A comporla il Catinaccio, il Sasso Piatto ed il Sella e ai loro piedi un tappeto di prati e boschi. Magnifico. Moena è l’ideale per programmare una sosta, crocevia ideale tra le due valli. Nel secondo tratto domina il paesaggio montano il gruppo del Latemar, mentre la ciclabile scende sinuosa, con la possibilità di deviare di volta in volta verso Ronda di Ziano, Lago di Tesero e Masi di Cavalese.

- Scopri di più sulla ciclabile delle valli di Fiemme e Fassa, vai alla sezione dedicata sul sito di Visittrentino.
 
La ciclabile della Dolomiti / foto Visitfiemme
 
3. IN TOSCANA, SULLA CICLABILE DELLA VERSILIA
È la pista più “balneare” d’Italia, infatti si snoda completamente in riva al mare; oltre a essere interamente pianeggiante. Certo in estate è molto frequentata, ma ad ogni stagione regala impressioni e scorci inaspettati, che cambiano con la luce che si riflette sull’acqua. Strano pensare che questa pista dolce e pianeggiante porti il nome dell’eroe di tante fatiche ciclistiche, Fausto Coppi. O forse no. Perché Coppi non esprimeva dolore, ma il talento innato di pedalare con leggerezza ed eleganza, caratteri che in Versilia si possono accostare al sapersi prendere delle pause.

Ovviamente ogni punto della ciclabile è perfetto per partire alla volta di Marina di Massa che, da qui, dista poco meno di trenta chilometri. Si pedala dritti dritti verso nord, in piano, su di un lungomare che scivola tra le architetture liberty degli alberghi del lusso anni ’50 e ’60. Quando si andava in vacanza in "500", ed era già quello un lusso. A Fossa dell’Abate si trova il confine naturale con Lido di Camaiore, prima deviazione possibile prima di proseguire lungo la costa, tra borghi che si accodano l’uno all’altro e una vegetazione mediterranea che divide il mare e la pista.

- Scopri di più sulla Versilia, vai alla sezione dedicata sul sito visittuscany.com.

Parco di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli / Getty Images
 
4. IN ABRUZZO, IN BICICLETTA NEN PARCO NAZIONALE D'ABRUZZO LAZIO E MOLISE
Da Pescasseroli a Barrea e ritorno, questo il percorso che si snoda nel Parco Nazionale d’Abruzzo sempre sopra i 1000 metri di altitudine, immerso in un incontaminato paesaggio naturale, contornato da vette oltre i 2200 metri. Tanta aria buonissima, su pendenze dolci, affrontabili anche da chi non è allenato.
 
Si parte da Pescasseroli, passando per Opi, costeggiando il fiume Sangro, fino al lago di Barrea, dove (nel paese di Barrea) approfondire la conoscenza del parco nel "Museo del Lupo e camosciara". I ritmi lenti della pedalata fanno godere a pieno del percorso, mettendo nelle condizioni ideali per emozionanti incontri con cervi, e più di rado con volpi, lupi e addirittura orsi. Di acqua non si sente la mancanza grazie a diverse fontane sul percorso. L’andata conta 22 chilometri, quindi volendo spezzare l’anello in due si può pensare di sostare in uno dei tanti campeggi e affittacamere.
 
- Scopri di più sui percorsi ciclabili dell'area, vai alla sezione dedicata dal sito del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise.
 
Il lago di Barrea / Getty Images 

5. IN SARDEGNA, SULLA CICLABILE DA ALGHERO A CAPO CACCIA
Si sale in sella per godere delle bellezze della riviera, attraverso i sentieri del Parco Regionale di Porto Conte, fino al promontorio di Capo Caccia. Il ritmo sarà rilassato, con i consigli di prediligere le ore più fresche della giornata, portandosi almeno un paio di borracce d’acqua.
 
L’itinerario prende avvio dall’antico Portal del Mar. Sulle banchine del portoparte la ciclabile del lungomare Barcellona. Nel giro di qualche pedalata raggiungiamo l’ottima infrastruttura ciclabile di viale Burruni che regala alcuni scorci ammalianti sulla laguna del Calich: un’oasi verdeggiante, equipaggiata di aeree pic-nic, sentieri naturalistici e postazioni di birdwatching, per non lasciarsi sfuggire la ricca avifauna che sverna e nidifica nelle zone umide tra il mare e l’entroterra.
 
Poco più avanti, in prossimità della frazione di Fertilia, si attraversa un ponte ciclopedonale che offre una veduta privilegiata su un ponte di epoca romana. La pista conduce sin sopra le antiche arcate. La ciclabile prosegue dritta tra acetoselle gialle, una lunga serie di palme nane prima dell’approdo ciclistico a Capo Caccia.
 
- Scopri di più sulla la ciclabile di Alghero, leggi il nostro articolo dedicato.
- Scopri di più sui percorsi ciclabili dell'area, vai al sito del Turismo di Alghero.

Laguna del Calich / foto Zironi Schintu
6 Agosto 2019

Che cosa vedere ad Agrigento e dintorni

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Luca Bonora
L'antica Girgenti, la Valle dei Templi, Porto Empedocle e i luoghi di Camilleri
Ambientati in luoghi reali ma con nomi immaginari, i romanzi di Andrea Camilleri con protagonista il commissario Montalbano hanno contribuito a far conoscere una parte della Sicilia fra le più belle: la costa meridionale, fra Agrigentino e Ragusano. Allora, per coloro che questa estate o in futuro hanno in programma un viaggio da queste parti, ecco una piccola guida sui luoghi da non perdere, alcuni famosissimi, altri autentiche chicche nascoste.
 
AGRIGENTO E LA SUA CATTEDRALE "RINATA"
«Agrigento sarebbe la Montelusa dei miei romanzi, però Montelusa non è un'invenzione mia ma di Pirandello, che ha usato questo nome molte volte nelle sue novelle» raccontava Camilleri alcuni anni fa. 

L’antica Girgenti che secondo Pindaro era «la città più bella dei mortali» porta ancora i segni e le ferite del terremoto che colpi la Sicilia meridionale nel 1966. Allora crollò una parte del costone di roccia tufacea su cui era stato costruito il centro storico e la ricostruzione, allargandosi, creò quella selva di palazzoni anonimi che si incontrano arrivando dall’entroterra. Se la prima impressione è quindi deludente, la città vecchia ha ancora un fascino antico soprattutto nell’interno, fra le viuzze strette attorno a S. Maria dei Greci, piccolissima chiesa costruita nel medioevo sui resti di un preesistente tempio greco in stile dorico (del quale sono visibili i resti all’interno e in una galleria accanto alla navata sinistra).

A due passi la Cattedrale di S. Gerlando, che ha una storia molto particolare e durante la visita regala scorci unici sulla città e sui dintorni. «Non è la cattedrale più bella del mondo, ma sicuramente è una di quelle con la storia più ricca» esordisce la nostra guida, una ragazza agrigentina. Fa parte di Ecclesia viva, un gruppo di giovani volontari impegnati da diversi anni per restituire la cattedrale alla città (è stata chiusa oltre 10 anni per restauri) e per farla conoscere ai turisti. Hanno competenza e passione, come chi ha studiato e ama i luoghi di cui sta parlando.
 
Agrigento, la facciata della Cattedrale di S. Gerlando arretrata rispetto alla Torre campanaria.
 
La cattedrale fu edificata tra il 1093 e il 1099 su un preesistente tempio greco e fu rimaneggiata nel XIII secolo dai Chiaramonte, nobile famiglia siciliana che all’epoca dominava queste terre. Nei secoli subì infinite trasformazioni, anche strutturali. Fu allargata e poi stretta– all’epoca del terremoto una navata subì pesanti danni –, accorciata - e questo spiega perché oggi la torre campanaria è più avanti rispetto alla facciata: in origine non era così – furono aggiunti affreschi (poi tolti) e decorazioni seicentesche, anch’esse rimosse.

Perfino il soffitto ligneo della navata centrale appartiene a tre epoche diverse: il XIII secolo, il 1514 e metà Seicento. L’abside? Ѐ in stile rococò. Eppure questo miscuglio di stili e di interventi non stonano, le danno un’aria singolare, vissuta, come le rughe sul volto di un vecchio marinaio.
 
Agrigento, il soffitto ligneo all'interno della Cattedrale, realizzato in tre epoche diverse.

Salendo alla torre campanaria lungo gradini stretti e ripidi – ma sono pochi, quindi fatelo – si accede a due luoghi unici. Il primo è un balcone esterno che si affaccia verso il mare, Porto Empedocle e la Valle dei Templi, di cui parleremo fra poco, regalando una visuale ampia. Una rampa più in alto, si raggiunge una balconata proprio alle spalle del rosone centrale e a pochi metri dal soffitto ligneo. Una posizione solitamente irraggiungibile nelle chiese e che regala una prospettiva unica sulla navata centrale e sul soffitto ligneo.

Accanto alla cattedrale si trova il monastero di S. Spirito, che oggi ospita alcuni Musei civici fra cui il Museo diocesano che custodisce i Tesori della Cattedrale. Sempre nella città vecchia merita una passeggiata l’area attorno alla Stazione ferroviaria e lungo via Crispi, con alcuni dei palazzi meglio conservati, tra cui la sede della Prefettura, i giardini su piazzale Aldo Moro. Qui si trova anche Villa Catalizzano, che ospita il ristorante L’aguglia persa, consigliatissimo.
 
LA VALLE DEI TEMPLI E LA SCALA DEI TURCHI
I fiori all’occhiello di Agrigento, per cui la città è famosa in tutto il mondo, sono però distanti dal suo centro storico. Uno è la Valle dei templi, parco archeologico e paesaggistico tutelato dall’Unesco fra la città propriamente detta e il mare, con maestosi templi greci risalenti principalmente al V secolo a.C. Ben visibili sono i resti del tempio di Ercole, di Giove Olimpico, di Giunone Lacinia e soprattutto il tempio della Concordia, capolavoro di architettura dorica perfettamente conservato. Nel parco, in cui è presente anche un museo archeologico, si organizzano visite guidate anche teatralizzate (ne parliamo diffusamente qui).
 
Il tempio di Giunone (450 avanti Cristo) all'interno del parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento

L’altro luogo imperdibile è la cosiddetta Scala dei Turchi, una parete rocciosa di colore bianco a picco sul mare lungo la costa di Realmonte, 15 km a nord di Agrigento. Già attrazione turistica per la bellezza del mare e per il candore della roccia, deve il suo nome a fatto che inverso sud discende verso il mare non a picco, ma a gradoni. Citata più volte nei romanzi di Camilleri sul commissario Montalbano, è diventata negli anni sempre più popolare.
 
La Scala dei Turchi di realmonte, a 15 km da Agrigento.
 
PORTO EMPEDOCLE, TRA SCRITTORI E COMMISSARI
Per raggiungere la Scala dei Turchi da Agrigento si passa per Porto Empedocle, la Vigata di Camilleri. L’antica Marina di Girgenti costituisce ancora oggi l’affaccio sul mare e il porto di Agrigento. Architettonicamente non ha elementi di spicco, ma è una cittadina vivace, soprattutto d’estate, non mancano le spiagge attrezzate e sulla via principale è molto fotografata la statua del commissario Montalbano.

Statua che non mancherà di sorprendere i viaggiatori amanti della serie televisiva con Zingaretti, perché il commissario ha folti capelli neri e baffoni siciliani, che l’attore non ha né ha mai avuto.
 
Porto Empedocle, Camilleri fotografato alcuni anni fa accanto al "suo" commissario. 
 
La strada che da Porto Empedocle risale verso Agrigento, prosegue per Racalmuto e poi per Caltanissetta è la Strada degli scrittori. In questi luoghi infatti hanno vissuto e scritto oltre ad Andrea Camilleri, anche Luigi Pirandello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Leonardo Sciascia, Pier Maria Rosso di San Secondo e Antonio Russello. Ne abbiamo parlato diffusamente su Touring, in questo reportage. Invece, per saperne di più sui luoghi e soprattutto sulla cucina di Montalbano, potete leggere qui.
 
Segnaletica che indica la Strada degli Scrittori fra Agrigento e Racalmuto.
 
I NOSTRI CONSIGLI
- Per dormire e mangiare. Nel centro storico di Agrigento segnaliamo un bed&breakfast appena aperto, Agrigentum Breakfast (tel. 329.0129453): tre stanze e un terrazzino alll’ultimo piano per la prima colazione, tutto realizzato ristrutturando con molto gusto una piccola palazzina. Da segnalare sempre in centro Portatenea; mentre sulla strada che scende verso al Valle dei Templi si trova Villa Athena, elegante resort di lusso in una villa del Settecento con giardino.

Sempre ad Agrigento, a chi ama la cucina di pesce è d’obbligo una sosta all’Aguglia persa (via Crispi 34, tel. 0922.401337; agugliapersa.it), che propone cucina tradizionale rivisitata in un ambiente molto accogliente, un piccolo guardino interno, verdissimo. Un altro indirizzo da tenere a mente è Pititto, in piazzetta Vadalà: pesce, carne e cous cous alla siciliana.
 
A Porto Empedocle, imperdibile Il Salmoriglio, elegante e raffinato ristorante di Alessandro Ravanà a due passi dalla statua di Montalbano (via Roma 27, tel. 0922.636613; ilsalmoriglio.it). Lo chef propone i sapori della più autentica cucina siciliana, rivisitati con eleganza: pane e sgombro, cannolo di pescespada, porchetta di spatola, merluzzo patate e bottarga... La scuola è quella di Enrico Crippa, chef stellato del Piazza Duomo ad Alba. Sempre a Porto Empedocle, ci consigliano il B&b Cinque elementi (tel. 320 8470722; bb5elementi.it), elegante e con piscina, sulla strada verso la Scala dei Turchi.
 
Il ristorante Il Salmoriglio di Porto Empedocle.
 
- Per visite al Parco archeologico della Valle dei Templi, tel. 0922.1839996; parcodeitempli.it.
- Per contattare l’associazione culturale agrigentina Ecclesia viva - visite guidate nella Cattedrale di Agrigento e nel centro storico (anche notturne) – , tel. 327.7549152, pagina Facebook Ecclesia viva oppure il sito del Museo Diocesano locale che funge da sede, museodiocesanoag.it.
 
6 Agosto 2019

Nelle Langhe in camper, sulle strade del vino d’autore

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In Piemonte un itinerario autunnale tra panorami, castelli e cantine da sogno

Colline come onde del mare, il Tanaro che scorre placido e le Alpi che abbracciano l’orizzonte a ovest a temperare il clima. Siamo tra Langhe e Roero, terre di vini, nocciole e tartufi e soprattutto siamo nel momento migliore per visitarle, quando si apre la vendemmia e si chiude un anno di lavoro sulla terra, celebrandolo con una miriade di feste e sagre.

Guidare in camper su queste colline (come anche pedalare o passeggiare) regala una sensazione di tranquillità mista a bellezza: perché il territorio compreso tra le province di Alessandria, Asti e Cuneo è davvero un microcosmo di ambienti diversi dove uomo e natura da secoli vanno a braccetto. Un po’ di geografia minima ci spiegherebbe come il territorio sia storicamente diviso tra Bassa e Alta Langa. La prima è quella dei grandi vini, del Barolo e del Barbaresco, ma anche del Moscato e del Dogliani. Qui i vigneti disegnano geometrie davvero suggestive. L’Alta Langa si mostra invece con colline più alte rispetto alla Bassa e ha tra le sue produzioni principali i formaggi e la nocciola Piemonte Igp.

Ma è il paesaggio nella sua interezza a offrire panorami vasti e memorabili, punteggiati qua e là da castelli che ereditano la belligeranza delle famiglie medievali che si contendevano le terre piemontesi. Quanta fortuna allora per chi può perdersi in queste atmosfere tanto amate da Pavese e Fenoglio, fermandosi a piacere di borgo in borgo, di cantina in cantina.
 
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ALBA E GRINZANE CAVOUR
Il punto di partenza per conoscere una terra da vino unica al mondo non può che essere Alba. Alba è una città piccola, dinamica quanto accogliente in ogni stagione, anche se il momento migliore per visitarla è ovviamente l’autunno. Il centro storico di Alba, nelle Langhe, è di impianto medievale e di forma circolare: è bello passeggiare tra le pittoresche torri e case-forti e poi imbattersi nelle grandi chiese, il Duomo e soprattutto San Domenico, uno dei più bei monumenti romanico-gotici del Nord Italia. Dopo di che non si può non provare il tartufo bianco, per cui Alba è celebre. Le occasioni sono molte, dal colorato mercato del sabato fino alla Fiera internazionale del Tartufo bianco d’Alba, che si tiene tradizionalmente da ottobre a novembre (da non perdere il Palio degli Asini il primo weekend di ottobre).
 
Da Alba si guida per circa un quarto d’ora sulla Provinciale 3Bis per raggiungere Grinzane Cavour. Ad annunciare il borgo - Bandiera arancione del Touring Club Italiano - è la mole imponente del castello di Grinzane, occasione di una sosta tra storia e cultura del cibo. Il castello, che risale al XIII secolo, non solo era una delle residenze predilette da Camillo Benso, ma è anche sede dell’Enoteca regionale nonché del Museo Etnografico delle Langhe.
 
Alba, piazza Risorgimento / Getty Images
 
MONFORTE D’ALBA E BOSSOLASCO
Si imbocca ora la Provinciale 9 e dopo Borgogno si arriva in venti minuti di guida a Monforte d’Alba, dove il consiglio è di iniziare a prendere confidenza con il Barolo, e degustarlo magari sul punto più alto del paese, una suggestiva piazza ad anfiteatro su cui si affaccia Palazzo Scarampi, e dove spesso si ha l’occasione di assistere ad eventi culturali e musicali.

Monforte - un altro borgo certificato dal touring con la Bandiera arancione - è una delle mete preferite del turismo internazionale: locande, osterie, enoteche, cantine dai nomi importanti rendono le strade del paese tra le più animate e vivaci delle Langhe. In via Marconi 16, la Fondazione Bottari-Lattes organizza un calendario di prestigiosi concerti da camera nel suo auditorium e ospita negli spazi espositivi convegni, mostre e incontri culturali.

Da Monforte si risale verso nord, percorrendo la provinciale 57. Ecco delinearsi il profilo di un crinale stretto, coperto da un tappeto di vigneti che si susseguono con ordine quasi armonico su cui spicca la forma slanciata del castello di Serralunga, con la sua snella torre cilindrica, un mastio e una torretta, che i locali chiamano affettuosamente “i tre cioche” e che accoglie il Centro studi Beppe Fenoglio.

Si sicuro merita una visita Bossolasco, uno tra i più panoramici paesi delle Langhe. L’arrivo non è difficoltoso, basta seguire la provinciale 32 per 22 chilometri. Davvero emozionante passeggiare sul corso Umberto I, dove quasi ogni portone ospita piante di rosa che affondano le radici nelle pietre del selciato. Mentre proprio in cima alla via si incontra palazzo Balestrino. Ma Bossolasco non è solo pittoresca e panoramica, eredita anche un passato in cui era il luogo prediletto di un gruppo di artisti torinesi usciti dalla scuola pittorica di Felice Casorati. Nel 1960 alcuni di questi artisti realizzarono 28 insegne dipinte per botteghe, artigiani e uffici pubblici del paese. Oggi le copie delle insegne sono affisse a un muro nella piazza della chiesa, mentre gli originali sono in un piccolo spazio espositivo nei pressi del comune, che lo apre su richiesta.
 
Monforte d'Alba e sullo sfondo il Monviso / foto Getty Images

MURAZZANO E DOGLIANI
Poco più a sud (10 chilometri sulla Sp 32) c’è Murazzano. Anche in questo caso si arriva in paese godendosi il panorama. Ma non è solo questo a spingerci qui, ma anche l’occasione di un assaggio della toma di casa, il Murazzano Dop, a base di latte ovino. Alla degustazione può seguire una bella passeggiata che vi porta dal santuario della Beata Vergine di Hall, fino alla porta di Buzignano e uscendo dal borgo fino a un mulino a vento in posizione panoramica.

Seguendo la voglia di conoscere il territorio attraverso i suoi prodotti risaliamo sulla Sp 661 per una decina di chilometri per ritrovarci a Dogliani, borgo noto proprio per la produzione autoctona del Dogliani Doc, vino ottenuto da uve del vitigno dolcetto. Ecco che addirittura negli scantinati cinquecenteschi del palazzo comunale, ha sede la Bottega del Vino di Dogliani, che raggruppa una trentina di produttori attivi nel territorio della Docg.
 
Da qui si può salire al castello, il ricetto medievale che occupa interamente l’altura, un balcone panoramico dove immortalare la vistasulla conca di Dogliani e sul paese. Nella parte moderna del paese si trova invece la biblioteca civica Luigi Einaudi, donata alla città da Giulio Einaudi per omaggiare il padre e realizzata da Bruno Zevi nel 1963. Prima di ripartire non mancate un assaggio di Ciarà, minestra di trippe e ceci realizzata secondo un’antica ricetta. La celebra ogni autunno la ricorrenza della Ciarà e la Fiera dei Santi. Mancano due tappe alla conclusione della scorribanda nelle Langhe, luoghi assolutamente da non perdere.
 
Vendemmia in Langa - Getty Images
 
LA MORRA E BAROLO
Il primo è la Morra, cui si arriva guidando verso nord per una ventina di minuti sulle provinciali 661 e 3. L’abitato, borgo Bandiera arancione in bella posizione panoramica, con vista sulle Langhe e sulle Alpi, ha un impianto medievale che ricorda un ventaglio. Dopo aver ammirato la tela dell’Aliberti dedicata a San Martino ci si può rilassare sulla piazzetta del Municipio dove si trova l’Enoteca comunale dove poter degustare possibile degustare ed acquistare barolo, nebbiolo, dolcetto e barbera di oltre 70 soci produttori del Comune di La Morra.

Dal paese si può concludere l’esperienza della degustazione con una suggestiva passeggiata tra le vigne fino alla cappella della Madonna delle Grazie. La camminata è lunga circa un chilometro e scende verso Norzole. Poco oltre l’abitato si devia a sinistra in direzione di Fontanazza e sulla sinistra ecco come una folgorazione a colori. Nel 1999 infatti Sol LeWitt e David Tremlett, artisti di fama internazionale, la restaurarono rendendola una meta iconica del territorio.
 

La cappella della Madonna delle Grazie, a La Morra / Getty Images

Qualche minuto per vivere il gran finale a Barolo, il paese che ha dato il nome a uno dei più nobili vini italiani, prodotto dal vitigno autoctono nebbiolo, e compreso nel territorio individuato come Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, che ha come vertici i paesi di Grinzane Cavour, Serralunga d’Alba, Monforte d’Alba, Novello e la Morra. Un paesaggio dove il vigneto occupa tutti i versanti ben esposti di queste colline dal profilo dolce. Fu nei possedimenti della famiglia dei Falletti, in paese dal 1250, che venne prodotto il primo vino barolo. 

Il borgo - anche in questo caso certificato con la Bandiera arancione per le sue qualità turistiche e ambientali - sorge intorno al Castello Falletti (o Castello Comunale) posto su uno sperone collinare a quota inferiore rispetto alle alture circostanti. Il castello è sede dell’Enoteca Regionale del Barolo e del WiMu – Museo del Vino. Vale la pena visitarlo per farsi coinvolgere da un allestimento multimediale (firmato dall’autore del museo del Cinema di Torino) in un viaggio nella storia della vite e del vino. Più eccentrico ma altrettanto interessante il Museo del Cavatappi che ha sede in piazza Castello. Due visite imprescindibili per entrare ancora più a fondo nella cultura della regione e delle sue produzioni conosciute in tutto il mondo. 
 
Il centro di Barolo con il Castello Falletti - foto Getty Images
 
LE CANTINE DA NON PERDERE
Lasciandovi il piacere della scoperta secondo i vostri gusti, ecco cinque cantine dove degustazione e acquisto sono una vera esperienza. Ad Alba si va dai fratelli Adriano per la loro produzione di Barbaresco (www.adrianovini.it). Per degustare dell’ottimo Dogliani andate da Anna Maria Abbona, a Farigliano (www.annamariabbona.it). Dai Ceretto di Alba si va ovviamente per degustare grandi vini, ma anche per farlo nello spazio d’artista dell’Acino e per approfittare del meraviglioso punto panoramico (www.ceretto.it). Infine, a Barolo si va dai Mascarello, nelle cui cantine sono state scritte pagine di storia del Barolo (www.mascarello.com)
 
Getty Images
 
SERVIZI PER I CAMPER
- Ad Alba, in via Giovanni Ferrero, si trova il parcheggio della Ferrera, gratuito. Dista 10 minuti a piedi dal centro.
- Ad Alba, camping Alba Village, www.albavillagehotel.it/camping.
- A Barolo, in via Lomondo, c’è un parcheggio sterrato riservato ai camper, appena sotto al paese. Sempre aperto, gratuito, privo di servizi.
- A Monforte d'Alba, parcheggio in piazza Mons. Dall'Orto o piazza Fratelli Viola; o in località S. Eligio.
- A La Morra, agricampeggio Cascina Ballarin, www.cascinaballarin.com.

MONDO TOURING 
- Questo itinerario è stato ispirato dalla Guida Verde Piemonte, da acquistare nei Punti Touring sul nostro store on line a prezzo scontato!
- Maggiori informazioni sui borghi Bandiera arancione sulle schede dedicate del sito Bandiere arancioni: Barolo; Monforte d'Alba; Grinzane Cavour; La Morra
 
L'ASSICURAZIONE PER CAMPERISTI
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4 Ottobre 2019

Alla scoperta delle ville medicee di Poggio a Caiano e Artimino, in Toscana

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Roberto Copello
Itinerario tra preziosi beni Unesco, pedalate tra i vigneti e ricordi etruschi
 
Dici “ville medicee” e pensi a lussuose regge estive, a scrigni di opere d'arte, all'idillio della campagna toscana e, naturalmente, a Lorenzo il Magnifico. Tutto vero, ci mancherebbe, ma l'universo “ville medicee” può comprendere anche altro: pedalate su e giù fra colline e vigneti, visite a musei e siti etruschi, osservazioni della volta stellata, soste in ristoranti da leccarsi i baffi, degustazioni di vini autoctoni unici, e addirittura possibilità di alloggiare nelle scuderie di una di quelle celebri ville.

Accade nella provincia di Prato, la più piccola provincia italiana sia per superficie sia per numero di comuni (appena sette). Bene, in questo fazzoletto di territorio toscano si trovano due delle 14 ville medicee che l'Unesco nel 2013 ha iscritto nel Patrimonio dell'umanità: una delle più antiche e famose, a Poggio a Caiano, e quella di costruzione più recente, ad Artimino, deliziosa frazione del comune di Carmignano.
 
POGGIO A CAIANO, IL SOGNO DI LORENZO IL MAGNIFICO
Un itinerario fra i luoghi medicei del Pratese parte obbligatoriamente da quella che fu la villa umanistica per eccellenza, che abbandonava l'idea della villa-fortezza tipica delle precedenti ville medicee di Cafaggiolo, del Trebbio e di Careggi, e divenne modello per tante dimore signorili di campagna erette in seguito. La villa di Poggio a Caiano, commissionata da Lorenzo de' Medici verso il 1470 al suo architetto di fiducia, Giuliano da Sangallo, è un simbolo della capacità umana di ordinare la natura e plasmarne il paesaggio, è la trasposizione nella campagna toscana di un'idea di armonia e di simmetria ispirata ai classici, a Vitruvio in particolare. Lorenzo però non fece in tempo a vederla ultimata: quando morì, nel 1492, era costruita solo per un terzo. I lavori furono conclusi nel 1520 da suo figlio Giovanni, che nel 1513 era divenuto niente meno che papa Leone X, un anno dopo il tragico sacco di Prato che aveva spianato ai Medici la riconquista del potere.


La villa medicea di Poggio a Caiano​ - foto Roberto Copello

La villa medicea di Poggio a Caiano colpisce da subito per la sua posizione, alta e strategica sulla cima di un poggio, con l'imponente facciata, i due bracci dell'avvolgente scalinata e la loggia sormontata da un timpano. Proprio lungo questo corre il celebre fregio in terracotta invetriata lungo 14,22 metri e divenuto un simbolo della villa (in realtà quello all'aria aperta è una copia realizzata dalla fabbrica Richard-Ginori nel 1986, dato che l'originale è stato smontato e messo al riparo al primo piano della villa). Con i suoi lucidi colori bianco, blu e verde, il fregio rappresenta (forse) la sorte dell'anima, in una raffinata allegoria delle idee neoplatoniche che tanto affascinavano Lorenzo. Resta incerta la sua attribuzione ad Andrea Sansovino o a Bertoldo di Giovanni, un allievo di Donatello.


Particolare del fregio nella villa medicea di Poggio a Caiano​ - foto Roberto Copello

Entrare nei saloni della villa di Poggio a Caiano, poi, è anche percorrere quattro secoli di storia d'Italia attraverso i suoi illustri inquilini e le loro vicende amorose. Rivive qui la storia d'amore fra il granduca di Toscana Francesco I de' Medici e la bella amante Bianca Cappello, deceduti entrambi il 19 ottobre 1587 a poche ore di distanza: morti misteriose su cui ancora si indaga, anche se neppure le indagini del Dna hanno chiarito se dovute a malaria o all'arsenico. Rivive la (presunta) liaison fra Elisa Bonaparte Baciocchi, la sorella di Napoleone granduchessa reggente di Toscana, e Niccolò Paganini, che qui portò spesso il suo violino. Rivive anche un'altra controversa relazione, quella fra il re d'Italia Vittorio Emanuele II e la Bella Rosin, la popolana che qui fece decorare con dubbio gusto alcune sale.

Molte altre curiosità attirano l'attenzione nella villa: la grande tavola con il Cristo deposto dipinta dal Vasari per la cappella della villa; la strana scala ideata dal Vasari stesso, che a prima vista pare non condurre a nulla, e invece collegava l'appartamento di Bianca Cappello al suo guardaroba; i telamoni di un caminetto forse pensato dal Buontalenti, il geniale architetto di corte di Francesco I; la camera da campo completamente smontabile di Vittorio Emanuele II; la vistosa stoffa pieghettata che riveste la camera da letto della Bella Rosin; la sala con i biliardi voluta dal re Savoia... Al secondo piano, poi, nel Museo della Natura Morta, sono esposti circa 200 dipinti per lo più appartenenti alle collezioni medicee.


La villa medicea di Poggio a Caiano​ - foto Roberto Copello

Gioiello principale degli interni è però il Salone di Leone X, pensato al posto del cortile centrale delle ville tre e quattrocentesche. La splendida volta decorata a stucco con emblemi medicei e gli affreschi sulle pareti mirano a omaggiare la stirpe dei Medici. Con tale intento Giovanni de' Medici, una volta divenuto papa Leone X, chiamò alcuni dei maggiori pittori del primo Cinquecento, perché celebrassero il bisnonno Cosimo il Vecchio e il padre Lorenzo mettendoli a confronto con la storia antica. Pontormo, Andrea Del Sarto e il Franciabigio lasciarono ciascuno propri affreschi, ma il salone rimase affrescato a metà. Fu fatto ultimare 60 anni dopo dal granduca Francesco I de Medici. L'incarico andò al suo artista ufficiale, Alessandro Allori, che non si limitò a riempire le pareti vuote, ma pensò bene di mettere mano agli affreschi altrui, riempiendoli di nuvole rosa e addirittura ampliando il Tributo a Cesare, che Andrea del Sarto aveva affrescato sei decenni prima. L'Allori vi aggiunse scene, personaggi e persino un tacchino, allora esotico animale giunto dalle Americhe per il quale nella famiglia Medici si nutriva una passione particolare. 

L'affresco del tacchino dipinto da Alessandro Allori nella villa medicea di Poggio a Caiano​ - foto Roberto Copello
 
ARTIMINO, LA VILLA DEI TRE NOMI
Tre nomi perché, oltre che villa medicea di Artimino (il borgo medievale presso cui è situata), potete chiamarla villa La Ferdinanda (perché voluta dal granduca Ferdinando I de Medici) o Villa dei cento camini (per il gran numero di comignoli sui tetti, in realtà non cento ma “solo” 54). Anche qui, come a Poggio a Caiano, la villa sorge in cima a un colle e ha sul davanti una loggia (la Loggia del Paradiso) e una doppia scalinata. Però dal “prototipo” di Poggio a Caiano è passato oltre un secolo, e si vede. L'ormai anziano Bernardo Buontalenti, l'eclettico e iperattivo architetto di corte di Ferdinando, la portò a termine in soli quattro anni, tra il 1596 e il 1600, immettendovi parecchio del suo gusto manierista ma pure la sua esperienza di ingegnere militare, con bastioni in pietra serena che in realtà non hanno mai dovuto difendere nulla. Il fresco e bianchissimo intonaco, poi, a qualcuno potrebbe ricordare che allo stesso Buontalenti si attribuisce l'invenzione del celebre gelato fiorentino che porta il suo nome, in realtà color crema. 


La Ferdinanda, villa medicea di Artimino

Gli interni furono affrescati quasi completamente da Domenico Cresti, o Crespi, detto il Passignano. Da vedere in particolare gli ambienti decorati per Cristina di Lorena (la nipote di Caterina de' Medici regina di Francia) che nel 1589 aveva sposato il granduca Ferdinando I: notevoli sono la cappellina privata di Cristina e soprattutto il piccolo boudoir presso la sua camera da letto, dove un altro pittore, Bernardino Poccetti, dipinse il soffitto e deliziosi dettagli illusionistici sulle pareti.
La dimora di Artimino è il canto del cigno del sistema della ville medicee, che Ferdinando aveva fatto ritrarre al fiammingo Giusto Utens in 17 lunette collocate proprio in questa villa: ora sono rimpiazzate da copie, perché gli originali sono a Firenze, tranne le tre lunette perdute (fra le quali, ironia della sorte, proprio quella che ritraeva La Ferdinanda). 


La cappella all'interno della villa medicea di Artimino

La storia della villa si incrociò spesso con nomi importanti. Nelle sue stanze furono appesi a lungo il Bacco di Caravaggio e ben 65 ritratti di gentildonne, opere ora visibili agli Uffizi, nonché il ritratto di Pietro Aretino di Tiziano, ora a Palazzo Pitti. Qui Galileo Galilei fu tra il 1605 e il 1608 precettore dell'adolescente Cosimo II (1590-1621), di cui rimase amico sino alla prematura morte. Un'altra curiosità storico-scientifica è il girarrosto automatico realizzato in base a un disegno di Leonardo trovato sul codice Leicester o Hammer, e perfettamente funzionante, con il suo sistema di contrappesi da adattare alla dimensione della selvaggina da arrostire. È uno spettacolo vederlo manovrare dall'ottantenne e pirotecnico cuoco Carlo Cioni, che è cresciuto proprio nella villa (la madre stava ai fornelli mentre il padre era capo guardiacaccia della riserva) prima di aprire nel borgo Da Delfina, ristorante del Buon Ricordo recentemente premiato per la sua ribollita, giudicata la migliore della Toscana.
 

La villa di Artimino - foto Roberto Copello​

Il pregio della Ferdinanda è che è una villa “pura”, non intaccata da interventi neoclassici o di gusto sabaudo ottocentesco. Ciò perché nel 1737, quando ebbe fine la dinastia Medici, passò ai Lorena che presto la rivendettero a nobili pratesi. Tutti i proprietari successivi la mantennero nel suo stato originario, finché purtroppo nel 1979 la famiglia dell'imprenditore Felice Riva ne disperse gli arredi, vendendoli all'asta. Acquistata quindi da Giuseppe Olmo, il grande ciclista degli anni 30 vincitore di due Milano-Sanremo e poi affermato imprenditore (una sua bici è esposta nella villa), è oggi gestita dalla sua dinamica nipote Annabella Pascale, che le ha restituito molto dell'antico lustro, aprendone le porte a visite guidate (la prima domenica del mese) e a eventi privati.

Non solo: le antiche scuderie e gli alloggi della servitù, pensati dal Buontalenti con un portico ad archi ribassati al piano terra e un loggiato architravato al piano primo, oggi sono diventati il raffinato Hotel Paggeria Medicea. Un po' più in là, la dimora rinascimentale di ser Biagio Pignatta, potente factotum di Ferdinando, alloggia l'ottimo ristorante “Biagio Pignatta” dove la dinamica executive chef Michela Bottasso propone cucina toscana rivisitata e a km zero: con lei, cuneese di origine, è d'obbligo discutere se sia meglio la carne di fassone piemontese o di chianina toscana. L'hotel e il ristorante sono separati niente meno che dai resti di un'area sacra appartenente a un abitato etrusco. 


L'hotel Paggeria Medicea nella villa di Artimino 

I DINTORNI DELLA VILLA DI ARTIMINO: VIGNETI, PEDALATE, ARCHEOLOGIA
La Ferdinanda si trovava al centro del Barco Reale, una tenuta che si estendeva fino all'Arno su 4mila ettari ed era circondata da 50 chilometri di mura, con varchi chiusi da cancelli, alcuni dei quali ancora visibili. Solo i Medici potevano andarvi a caccia: su un muro della villa una lapide in fiorentino volgare ancora ammonisce che chiunque fosse stato trovato nel Barco (significa “parco”) armato di archibugio sarebbe finito diritto alle Stinche, il carcere di Firenze. Oggi invece si può girare liberamente in mountain bike (disponibili in zona anche bici elettriche) fra i 732 ettari di vigneti e uliveti della Tenuta di Artimino.


In bicicletta tra le colline di Artimino - foto Roberto Copello​

La sua cantina tiene alta la tradizione enologica locale del vino Carmignano, quella che unisce gli orci etruschi del VII sec. a.C. conservati nel Museo archeologico di Artimino alle grandi botti del primo Novecento visibili nei locali inferiori della villa medicea. È forse una leggenda che il Cabernet Sauvignon sia stato portato in questa zona nel Cinquecento da Caterina de’ Medici, regina di Francia. Vero invece che proprio uno degli ultimi Medici, il granduca Cosimo III, appassionato produttore che spediva i suoi vini alle corti di mezza Europa, emanò nel 1716 un editto che definiva i confini di produzione del Carmignano, per proteggerlo da contraffazioni: sorta di disciplinare ante litteram, si può ritenere il primo caso di “denominazione di origine controllata” della storia. La biondissima Annabella Pascale, ceo della Tenuta di Artimino e anche appassionata “donna del vino”, prosegue oggi con orgoglio questa antica storia, coadiuvata dall'agronomo Alessandro Matteoli e dall'enologo Filippo Paoletti nel valorizzare al massimo la qualità delle uve (Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah e Malvasia) che danno vita alle due Docg Carmignano e Chianti e alle cinque Doc Barco Reale, Barco Reale Rosato, Vin Santo di Carmignano, Vin Santo Occhio di Pernice e Vin Santo del Chianti. Fra gli obiettivi, portare a cento gli ettari vitati della tenuta (attualmente sono 80, cui si aggiungono 18.500 piante di olivo).
 

I vigneti di Artimino

Il minuscolo borgo di Artimino sorse attorno a un castello attestato sin dal 1026, in posizione strategica fra Pistoia e Firenze. A lungo conteso fra le due città, cadde in mano fiorentina nel 1327. Collegato a La Ferdinanda da uno scenografico viale alberato, il borgo murato si può attraversare in cinque minuti a piedi, eppure offre diverse ragioni di visita. Appena fuori dell'abitato, per esempio, sorge la notevole pieve di San Leonardo, anteriore al Mille e che ha tre belle absidi romaniche. Attrazione principale del borgo è però il sorprendente Museo archeologico, che dal 1983 era ospitato nei sotterranei della villa medicea e che dal 2011 è ora modernamente allestito nelle ex-tinaie della medievale fattoria di Artimino, adiacenti la torre del borgo. Intitolato a Francesco Nicosia, il “padre” dell’archeologia carmignanese, espone una raccolta di reperti etruschi dal VII al I sec. a.C.: scoperti nell'area del Montalbano, nelle necropoli di Prato Rosello, Comana, Artimino e Pietramarina, sono i più settentrionali rinvenuti in Toscana. Con il piano superiore dedicato al “Mondo dei vivi”  e quello inferiore al “Mondo dei morti”, i 600 mq del museo espongono reperti notevolissimi, come il grande Cratere di Grumaggio decorato a figure rosse con scene dionisiache, tre incensieri di bucchero del VII sec. a.C., una straordinaria coppa di vetro turchese originaria forse dal Medio Oriente e le armi del corredo funerario di un giovane guerriero.


La coppa di vetro turchese nel Museo di Artimino - foto Roberto Copello

E chi è affascinato dagli etruschi non può mancare di spostarsi a Comeana, a cinque chilometri da Artimino, e visitare il Tumulo di Montefortini, scoperto da quattro ragazzi pratesi nel 1965: su tratta di una monumentale collinetta artificiale alta 12 metri che nasconde due grandi camere sepolcrali. Chi invece ama la grande arte rimarrà a bocca aperta davanti alla tavola della Visitazione dipinta dal Pontormo nel 1528, capolavoro del primo manierismo fiorentino conservato a Carmignano nella Propositura dei Santi Michele e Francesco.

INFORMAZIONI
- Villa medicea di Poggio a Caiano e Museo della Natura Morta: orari e informazioni sul sito web del Polo Museale della Toscana; nostro articolo dedicato al Museo della Natura Morta.
- Villa medicea di Artimino: per l'hotel Paggeria Medicea e il ristorante Biagio Pignatta, entrambi nella villa, www.artimino.com; ristorante Da Delfina, nel borgo: www.dadelfina.it. Visite la prima domenica del mese.
- Noleggio bici e bike tour: www.leonardodavincibiketour.com
- Parco archeologico Carmignano: www.parcoarcheologicocarmignano.it
 

Il ristorante Biagio Pignatta all'interno villa medicea di Artimino
3 Dicembre 2019

A piedi sulla neve nell'Osttirol, in Austria, per scoprire una montagna a portata d'uomo

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Roberto Copello
Viaggio nella Gailtal, intorno a Kartitsch, il primo "villaggio escursionistico invernale" del Paese
Sport sulla neve, in montagna, d'inverno: a che cosa pensate? La risposta pare ovvia: sci alpino, sci di fondo, scialpinismo, ciaspole... Attività bellissime, che implicano però un certo impegno fisico ed energetico. Non per tutti, dunque. A meno di venire nell'Osttirol, il Tirolo orientale, dove i limiti dati dall'età o dalla mancanza di allenamento non impediscono di godere della natura e dell'aria pura praticando un escursionismo “slow & soft”, senza troppo sforzo, senza costose attrezzature, senza conoscenze tecniche particolari, persino senza impatto sull'ambiente. Come? Semplicemente camminando sulla neve, ascoltando lo scricchiolio dei propri passi, seguendo il ritmo dei propri pensieri mentre si attraversa un bosco, respirando senza affanno l'aria pura, contemplando il panorama senza fuggir via.


La valle di Kartitsch - Foto Tirol Werbung, Marion Gallmetzer​

L'idea di una rete di sentieri invernali a misura di semplice camminatoreè sorta a Kartitsch, 1.356 metri di quota e solo 771 abitanti, dal 2018 primo Winterwanderdorf (“villaggio escursionistico invernale”) ufficialmente certificato in Austria. Situata nella Gailtal, la valle del torrente Gail che è la valle più alta dell'Osttirol, Kartitsch è una base ideale per facili escursioni invernali in vista delle Dolomiti di Lienz, a nord, e delle Alpi Carniche, verso il vicino confine meridionale con l'Italia. Uno scenario in cui non è stato difficile, sfruttando anche i sentieri estivi e le piste di fondo, tracciare nove sentieri escursionistici invernali, palinati con segnavia color fucsia ben evidenti anche in caso di nebbia. L'offerta va anche incontro alla crescente richiesta di rilassanti esperienze nella natura, in un Tirolo dove un quinto degli ospiti invernali ama le escursioni nella neve più dello sci. I sentieri di Kartitsch, poi, soddisfano ogni livello di esigenze: si va dal breve Wiesenweg, 1,8 km da completare in soli 45 minuti, fino ai 10,5 km della salita al Dorfberg (2117 metri), la “montagna del paese” che domina Kartitsch da nord, per la quale servono 5 ore. 


Escursioni attorno a Kartitsch - Foto Berg im Bild

LA SALITA AL DORFBERG
La partenza per questo “mini-trekking” avviene dalla frazione St. Oswald, a 1.360 metri sul livello del mare, presso la Gasthaus Dorfberg di proprietà di Heinz Bodner, che aveva davanti a sé una promettente carriera di chef ma ha scelto invece di tornare nella sua valle. A 19 anni infatti già lavorava in un ristorante stellato di Salisburgo ma il richiamo di St.Oswald era troppo forte: oggi gestisce non solo la pensione e il ristorante di famiglia ma pure un rifugio e uno skilift “all'antica” che è il più lungo di tutta l’Austria. Inoltre Heinz ha un’impresa di taxi e lo si vede spesso alla guida di un gatto delle nevi. “Preparare le piste e i sentieri con il gatto per me è come un hobby. Giù al ristorante, tutti hanno sempre bisogno di qualcosa, senza tregua. Ma quando vado a battere la pista da fondo e il sentiero escursionistico invernale, allora sono solo. E so che per due ore non mi disturberà più nessuno. Può capitare di osservare dei caprioli, un cervo, o di intravvederne le orme. Allora, mi rendo conto della bellezza dell’altopiano e mi rilasso completamente”.


Salendo verso il Dorfberg - foto R. Copello

Gli escursionisti più pigri possono chiedere a Heinz un passaggio con il gatto, in modo di evitare lo strappo iniziale. Ma la salita a piedi da St. Oswald non presenta comunque grandi difficoltà. Dopo due ore di cammino in cui si incrociano solo sciatori di fondo e scialpinisti si raggiunge l'altopiano, a 1.820 metri: i prati dell'alpeggio del Dorfberg in veste invernale si presentano come una bianca distesa disseminata di scuri capanni in legno per la fienagione estiva. Solo nell'ultimo tratto, la rampa verso la vetta, diventa indispensabile calzare leggeri ramponcini, applicabili direttamente alle suole di qualsiasi scarpone e che consentono una facile presa anche su lastre di ghiaccio. Si sbuca così sulla piatta cima del Dorfberg, dalla cui croce sommitale in legno lo sguardo può spaziare a 360 gradi sulla cresta delle Karnischer Alpen e sulle Lienzer Dolomiten, avvistare la Croce della Pace in Europa sul Grosse Kinigat o Monte Cavallino, individuare la sommità dei lontani Ortles o Grossglockner.


La cima del Dorfberg - foto R. Copello

La discesa si snoda lungo le curve della strada forestale, immergendosi in boschi di abeti qua e là spogliati dalla devastante tempesta Vaia che fra il 26 e il 30 ottobre 2018 con venti fino a 200 all'ora schiantò milioni di alberi fra Veneto, Friuli, Tirolo e Slovenia, tagliando Gailtal e Lesachtal fuori dal mondo. Con due ore di discesa si arriva infine alla frazione Rauchenbach, avvistando già da lontano, bianca come una bomboniera, la Bacher kapelle o Maria Tschenstochau kapelle, piccola cappella dedicata alla Madonna di Czestochowa nel 1955 da un profugo polacco che s'era stabilito nella valle dopo la seconda guerra mondiale. Ad aiutarlo nell'impresa fu la famiglia Klammer, che a poca distanza gestisce la Gasthof Klammerwirt, che antichi documenti attestano già esistente come fattoria nel 1545. La fortuna della famiglia Egger (oggi Klammer, perché così si chiamava l'uomo sposato dalla nonna dell'attuale proprietario) sorse nel XIX secolo quando la fattoria fu trasformata in locanda. L'ospitalità era favorita dalla posizione sulla Sella di Kartitsch (Kartitscher Sattel, a 1520 metri), dove i commercianti trasbordavano il legname fatto salire dalla Lesachtal. Oggi la Gasthof Klammerwirt accoglie invece soprattutto gli escursionisti estivi e invernali reduci dalla salita al Dorfberg. Appena entrati, prima di accomodarsi davanti a un piatto di Schlipfkrapfen (le mezzelune ripiene di patate), si vedono su un muro le foto dei due fratelli Egger, morti giovanissimi sul fronte dolomitico nella Grande guerra: il ventenne Georg, per esempio, dovette arruolarsi nel marzo 1915 nel secondo battaglione del quarto reggimento dei Kaiserjaeger tirolesi e cadde sul Monte Piano il 1° agosto 1915.


Segnaletica lungo il percorso - foto R. Copello​

IL WINKLERTALWEG
La verticalissima e ombrosa valle di Winkel, selvaggio scenario nel 2015 di alcune sequenze mozzafiato di Spectre, il 24esimo film di James Bond con Daniel Craig, offre l'altro percorso invernale impegnativo della zona, il Winklertalweg, percorribile comunque in circa un'ora e mezza. Dal centro di Kartitsch (1356 metri) ci si dirige verso maestose pareti rocciose e verso la cascata ghiacciata di Obstans, paradiso degli arrampicatori su ghiaccio. Ci si inoltra presto in una foresta di abeti rossi, varcando un ponticello di legno: superato un dislivello di circa 300 metri, si sbuca su campi innevati, da cui si ha una bella vista su Kartitsch dall'alto.

Si ridiscende lungo l'altro versante del torrente, sbucando sui prati di Neuwinkl, dove si sviluppa una pista di fondo, e si ritorna in paese, passando accanto alla piccola Schmieder Lourdeskapelle e in vista della gotica chiesa parrocchiale di San Leonardo (Pfarrkirche Sankt Leonhard), consacrata nel 1479 ma con un altare maggiore barocco che risale al 1761-1763. La sua alta guglia sfida in visibilità quella della chiesa gotica della frazione St. Oswald, che risale addirittura al 1360. Sulla sua facciata esterna è visibile un affresco della Risurrezione di Cristo, mentre all'interno conserva interessanti affreschi, tra cui un Giudizio universale di Jakob Woraht di Taufers e una scultura della Madonna del Rosario sospesa sotto la volta dell'arco trionfale. Di notevole interesse, sopra la balaustra della cantoria, la Via Crucis dipinta da Oswald Kollreider (1960), celebre artista di St. Oswald morto nel 2017 a 95 anni e i cui familiari da sempre prestano servizio come sacrestani proprio in questa chiesa.

LA FEDE DELLA GAILTAL
Chiese e cappelle, crocefissi di legno e tabernacoli sono insomma segni evidenti di come la Gailtal sia stata per secoli uno degli angoli del Tirolo dove la fede cattolica si è conservata nelle forme più vive, semplici e profonde al tempo stesso. A spingere ad affidarsi a Dio contribuiva di certo l'isolamento della zona, le dure condizioni di vita che esponevano gli abitanti a carestie ed epidemie, a frane e valanghe, per non dire del pesante tributo di sangue versato dai giovani del luogo durante i due conflitti mondiali. Proprio la consapevolezza della precarietà dell'esistenza ha fatto sì che Kartitsch conti almeno tre importanti chiese, una ventina di capitelli votivi e di artistici crocifissi posti lungo strade e sentieri, nonché 13 cappelle, la più antica delle quali risale al Cinquecento (15 gli edifici sacri protetti sul territorio comunale).
 

Kartitsch - foto TirolWerbung, Lisa Hörterer 
 
Cappelle e capitelli appartengono tuttora alle famiglie che li fecero erigere come ex voto per una grazia ricevuta, o magari per il ritorno di un figlio dalla guerra. Ne è un esempio, lungo il Gailbach sotto il poggio dominato dalla chiesa parrocchiale di Kartitsch, proprio la semplice Schmieder Lourdeskapelle che il fabbro del paese Josef Wiedermayr costruì nel 1897 grazie anche alle offerte raccolte da due suoi fratelli monaci. Il fabbro voleva con ciò ringraziare la Madonna di Lourdes per la guarigione di sua madre e di sua moglie da gravi malattie, ma aveva in mente anche uno scopo, per così dire, “comunitario”: affidare il paese a Maria, perché non si ripetessero inondazioni come quella che 15 anni aveva spazzato via la sua casa e la sua fucina. Responsabile era stato il torrente Gail (in italiano è chiamato Zelia), che origina poco a monte di Kartitsch ed è il maggior affluente di destra della Drava. Così riportava una benedizione dell'epoca della fondazione della cappella: “Che questa magnifica chiesetta possa essere ora e sempre un'opera difensiva contro le ondate del torrente e per la casa del Signore”. Restaurata a più riprese nel 1945 e nel 2017, la cappella oggi si presenta con la sua grotta di Lourdes all'altare e con la facciata bianca e gialla, mentre il tetto è ricoperto da belle scandole in larice.


La Schmieder Lourdeskapelle - foto R. Copello​

Il panorama religioso della valle ancor oggi si arricchisce ogni tanto di nuove realtà. Lo attesta per esempio l'edicola con la statua lignea di san Giacomo di Compostela, collocata recentemente lungo il sentiero alto per St. Oswald: un modo anche per ricordare che dal Tirolo orientale passava nel Medioevo uno dei tanti itinerari europei di pellegrinaggio diretti a Santiago. Senza spingersi lontano fino in Spagna, però, un santuario meta di pellegrinaggi esiste anche in valle: è quello di Mariahilf (Maria Ausiliatrice), che domina dall'alto della frazione Hollbruck sia la Gailtal sia la Val Pusteria. La semplice chiesa, che si può raggiungere con uno dei nove sentieri invernali, l'Hollbrucker Rundwanderweg, fu progettata in forme barocche da Michael Niedergratscher, di Brunico, dopo un miracolo accaduto nel 1680. Un'anziana contadina di Hollbruck di ritorno dalla chiesa di St. Oswald scoprì di avere una statuetta della Madonna nel suo paniere. Perplessa, la riportò in chiesa. Tornata a Hollbruck e rientrata in casa, trovò ancora l'immagine nel suo cestino. Allora, badando a non romperla, la portò nella piccola cappella di legno del villaggio. La storia dell'immagine di Maria si diffuse rapidamente. Presto arrivarono così tanti pellegrini che la cappella fu sostituita da una magnifica chiesa dove la statuetta di Maria Hilf, in argilla e alta 13 centimetri, è racchiusa in un ostensorio. Da notare anche la cupola a cipolla del campanile (Kaspar Kaser, 1697-99) e la ricca decorazione barocca all'interno, con i dieci dipinti a calce secca di Gabriel Kessler, gli stucchi di Gallus Apeller di Innsbruck e gli altari del maestro falegname Voltener di Lienz. 


St. Oswald, Kartitsch - foto R. Copello​

MULINI ED ESSICCATOI
Si sarà capito che a Kartitsch e dintorni i riti religiosi hanno seguito per secoli i ritmi della vita contadina. Prima dell'avvento del turismo l'economia di Kartitsch, come quella di tutta la valle del Lesach, è stata per secoli un'economia agricola e autosufficiente. Si sa che in valle nel Trecento esisteva già una trentina di fattorie, poi via via moltiplicatesi con le divisioni ereditarie. Nonostante l'altitudine fra i 1350 e i 1550 metri, si riuscivano a coltivare cereali come grano, orzo, segale e avena, verdure come piselli, fave, cavolo cappuccio e rape (dal XIX secolo anche patate), mentre i bovini fornivano latte, burro e formaggio (per procurarsi sale e zucchero invece occorreva scendere al mercato di Sillian, lungo la Drava). Agricoltura e allevamento imponevano lo sviluppo di attività artigianali, tanto che nel 1751 il censimento voluto da Maria Teresa d'Austria registrò in valle cento contadini ma anche 15 fra muratori, carpentieri, carrai, fabbri, sarti, calzolai, tessitori, apicoltori, osti e persino “guaritori”.

Particolarmente originali almeno un paio di “tecnologie” sviluppate in valle, di cui oggi sopravvivono solo alcune scenografiche testimonianze quasi archeologiche. La prima è costituita dal grande essiccatoio all'aperto chiamato Harpfe, simile al Kozolec sloveno: si tratta di un graticcio in legno con tettuccio, colonne verticali e stanghe orizzontali sulle quali si metteva ad asciugare la segale appena tagliata, tenendola protetta dalla pioggia e dall'umidità del terreno. Il secondo caso è rappresentato dal mulino ad acqua contadino. Ogni agricoltore aveva il suo, lungo il Gailbach o su un ruscello secondario, tanto che ancora a metà del XX secolo a Kartitsch si contavano 42 mulini. Servivano ovviamente a macinare i cereali, ma anche a fornire energia motrice per arare a forza di mulino, spingendo gli aratri anche su per le ripide pendici della valle. Imbattersi in un Harpfe o in un mulino durante un'escursione invernale può solo suscitare ammirazione, per un mondo che era, quello sì, davvero “slow”.


La valle di Kartitsch - Foto Berg in Bild
 
INFORMAZIONI
- Il sito ufficiale del turismo in Osttirol è www.osttirol.com.
- Le escursioni invernali sulla neve a Kartitsch sono adatte a tutti; si consigliano scarpe da trekking alte fino alla caviglia, abbigliamento sportivo invernale, occhiali da sole, bastoncini da trekking, ramponcini per gli itinerari più impegnativi.
- Tutti i nove itinerari sono descritti sul sito www.winterwanderdorf.at che offre anche suggerimenti per gli alloggi. Un'ottima guida escursionistica locale che parla anche un perfetto italiano è Jan Salcher, prenotabile all’ufficio del turismo dell’Osttirol (hochpustertal@osttirol.com) oppure direttamente scrivendogli alla mail jan@carnicoalpin.com o telefonandogli al +43 650 8635624. Bollettini valanghe per Tirolo e Osttirol si trovano al sito https://valanghe.report.
 
Dormire e mangiare 
A pochi passi dal centro del paese di Kartitsch, l'Hotel Waldruheè gestito dalla famiglia Strasser dal 1929 ed è stato modernamente rinnovato, con camere spaziose e un centro benessere con saune e bagno turco. Menzione particolare agli Schlipfkrapfen, le tipiche mezzelune ripiene di patate, preparati ogni giorno a mano dalla novantenne e lucidissima nonna del proprietario Franz (www.waldruhe.at). Valide pensioni con ottima cucina sono anche la Gästepension Klammer, nella frazione Rauchenbach (www.klammerwirt.com), e la Gasthaus Dorfberg nella frazione St. Oswald (dorfberg.jimdofree.com).
5 Febbraio 2020

In camper sulle tracce di Palladio, tra le più belle ville venete

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Fabrizio Milanesi
In viaggio tra Padova, Venezia e Vicenza tra navigli, parchi e capolavori del Rinascimento
Ville magnifiche e giardini che dialogano con un paesaggio disegnato. Un quadro che rimanda al Rinascimento per il gioco armonico tra paesaggio e forme architettoniche.
 
A tanta bellezza non si sottraevano i nobili veneziani del Rinascimento, che potevano raggiungere i luoghi dell’ozio in gondola risalendo la riviera del Brentadalla laguna. Difficile emularli, ma possiamo immaginare di ripercorrerne le tracce in un modo altrettanto fascinoso, in camper, godendoci il piacere di muoversi en plein air tra colli e laguna del Veneto. Si parte. Andiamo in camper in Veneto, tra piane e colline che si stendono tra Padova, Venezia e Vicenza per visitare le ville-capolavoro firmate da maestri come Tiepolo e Palladio.
 
Se avete un camper, pensate a un’assicurazione conLinea Strada InCamper, il prodotto innovativo e conveniente di Vittoria Assicurazioni dedicato al mondo del camper!

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IL TIEPOLO DI VILLA PISANI
Partendo da Padova si può seguire per una dozzina di chilometri la via Noventana (spesso congestionata purtroppo) e in mezz’ora di guida approdare a Stra, prima tappa sul ramo più antico del Naviglio di Brenta. Dopo essere sfilati di fronte alla villa Foscarini-Rossi ecco spiccare sull’ansa del Naviglio la sontuosa villa Pisani, ora Nazionale, la prima delle “imperdibili”. È la più vasta della Riviera ed è considerata per la monumentalità e per l’epoca tarda in cui venne conclusa, tra il 1736 e il ’56, il culmine decadente della cultura della cosiddetta “vita in villa”.
 
Una visita non può prescindere dal grandioso affresco con cui il Tiepolo celebrò la famiglia Pisani e da un passeggio nel parco, in un gioco costante di rimandi tra vasche d’acqua, sculture e siepi di bosso che formano il labirinto descritto da D’Annunzio ne “Il Fuoco”. Si riparte e poco prima di arrivare a Fiesso d’Artico si incontra, sulla sinistra, villa Soranzo, del primo ‘500. Le ville sono tante in questa fascia di territorio, per poi diradarsi e tornare quindi numerose nella località Cesare Musatti.

LA MALCONTENTA, CAPOLAVORO DI PALLADIO
Da Fiesso d’Artico si prosegue verso Dolo, che estesa sulle due rive del Brenta mantiene le forme di un porto fluviale. Si farà una sosta prolungata solo ad Oriago, ma tra le due cittadine il numero di residenze è davvero impressionante, basta citare villa Badoer Fattoretto, villa Tito, villa Alessandri e villa Contarini dei Leoni. Nota di colore per Villa Bon e il suo rigoglioso parco, che si specchia dall’altra parte della riva in un panorama di archeologia industriale creato dagli impianti di una storica e arcinota azienda di detersivi, la Mira Lanza.
 
Eccoci quindi alla seconda delle “imperdibili” ville venete. Oltre a un’ansa del Naviglio si trova villa Foscari, detta Malcontenta come la località che la ospita. Il nome alluderebbe a un’infelice nobildonna qui relegata per infedeltà; la villa, compatta, armoniosissima, è una delle più felici invenzioni di Andrea Palladio, simbolo degli ozi dei patrizi veneziani sulla riviera del Brenta.
 
Villa Foscari, detta La Malcontenta / Getty Images
 
LA MARCA TREVIGIANA, I COLLI E PAOLO VERONESE
Siamo quasi in Laguna, ma ora si gira il muso del camper puntandolo a nord verso la Marca trevigiana. La sosta sarà alle porte dei colli asolani che si raggiungono agilmente in poco più di un’ora guidando su strade provinciali che toccano in sequenza piccoli centri come Casacorba, Albaredo, Vedelago, Busta e Osteria.
 
Siamo finalmente a Maser, con lo scopo di ammirare Villa Barbaro, una vera e propria casa tempio.  Si tratta di uno splendido edificio concepito attorno al 1550 dal Palladio per la famiglia di patrizi veneziani Barbaro, raffinati studiosi di antichità classica. La loro attitudine lasciò campo libero al Palladio, che riuscì a realizzare la sua villa modello. Ad impreziosirla sono anche straordinari affreschi di Paolo Veronese. La visita è molto godibile anche per la presenza di una casa colonica adibita a degustazioni dei vini dei Colli dell’antica cantina.
 
Villa Barbaro / Getty Images
 
A VICENZA, VILLA LA ROTONDA
Il nostro viaggio si può chiudere quasi ad anello pensando a Vicenza come ultima tappa. La meta non è la cittadina ma l’ultima delle splendide ville che hanno mosso il nostro viaggio sin dall’inizio, la Rotonda.

La più celebre villa del Palladio si trova nei pressi della basilica di Monte Berico. Cubica, simmetrica, con quattro pronai identici che dal salone centrale, sotto la cupola ribassata, si rivolgono al paesaggio. La Rotonda si può considerare il culmine della ricerca umanistiche e rinascimentali del Palladio, degna conclusione del nostro viaggio.
 
Villa La Rotonda / Getty Images
 
I SERVIZI PER I CAMPERISTI
- Padova. A Monselice, in località Remiera Euganea, in via Argine destro 1, si trova un’area attrezzata con spazi per 10 camper, accanto al torrente. Aperta tutto l’anno su prenotazione.
- Treviso. A Quinto di Treviso, in via Costamala 26, si trova un camper resort attrezzatissimo, con 28 piazzole su fondo in ghiaia. Apertura annuale.
- Vicenza. A Schio, in via Cardatori si trova un’area camper comunale, sempre aperta con servizi.
 
LE GUIDE TOURING 
Questo itinerario è stato ispirato dalla Guida Verde Veneto da comprare nei Punti Touring sul nostro store on line a prezzo scontato!
 
L'ASSICURAZIONE PER CAMPERISTI
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13 Febbraio 2020

Dieci bellissimi giardini da ammirare in primavera

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Fabrizio Milanesi
Venerdì, 6 Marzo, 2020
Da nord a sud, cercando piccole oasi multicolori che diventano espressione di un'arte antica

Il fascino discreto del Lodigiano, tra strade bianche e aironi che s'involano

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Tino Mantarro
Omaggio all'area della Lombardia balzata agli onori delle cronache

Passione Italia. A fronte del forte momento di difficoltà che il Paese sta attraversando e per ricordarci tutti insieme che possiamo essere uniti anche a distanza, anzi soprattutto stando a distanza, il Touring lancia Passione Italia, una campagna per promuovere il territorio italiano e le sue bellezze. Un invito a tutti a “viaggiare da casa”, per scoprire e riscoprire ciò che ha da offrire il nostro Paese, semplicemente dal computer o smartphone. Scoprite tutti i contenuti sulla sezione dedicata del sito e sui nostri canali social. E contribuite alla mappa della bellezza con #passioneitalia #mappadellabellezza.     


Al mattino presto, per sei mesi l’anno, qui la terra è come se respirasse. Dai campi scuri e dalle impercettibili rogge si alzano vapori che spesso diventano nebbie e allora si azzerano le distanze e silenziano i rumori. Altre volte sono solo un velo che si dissolve presto, evaporando come l’aroma di una caffettiera in controluce. E dissolvendosi aprono la vista al paesaggio del Lodigiano. 

Ognuno di noi per settimane ha sentito parlare di zone rosse e arancioni del Lodigiano. Lo ha sentito nominare così tante volte questo Basso Lodigiano che ha finito per mandare a memoria i nomi dei paesi (Codogno, Castiglione d’Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e San Fiorano), versione contemporanea – da stato di crisi – della filastrocca felice degli anni Sessanta: Sarti, Burnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair... Ma quanti possono dire di averlo visto davvero, il paesaggio del Lodigiano? Forse l’hanno attraversato di fretta con il Frecciarossa, ridestandosi dalla tastiera del cellulare quando si scavalla il Po e le rotaie sul ponte fanno più rumore. O in autostrada, lungo l’A1, con il nome dell’uscita di Casalpusterlengo che rimane impresso come fosse uno scherzo della toponomastica, un anagramma dell’arrivo per chi risale da Sud. Ma sono attraversamenti distratti. Se chiedi com’è le risposte son vaghe, i ricordi sanno di nebbia.
 
Pochi sanno che vagando nel Basso Lodigiano si incontrano campi come tavoli da biliardo, alberi come scacchiere. Righe diritte come diritti appaiono gli schemi ortogonali di certi pioppeti piantati nelle aree di golena, lungo il Po, vicino all’Adda. Intorno, tra i campi seminati a mais che in estate diventa un labirinto verde in cui è un gioco infantile perdersi, si scorgono cascine e casali, grandi, spesso grandissimi. Una volta erano pieni di gente, generazioni di famiglie di contadini. Oggi ce n’è poca di gente, più mucche e maiali che persone.


Airone cenerino - foto Gettyimages

Perché si respira un’aria di solitudine nelle campagne del Lodigiano. La bella solitudine dello spazio aperto. Lasciate le zone altamente urbanizzate di Milano e della sua cintura, salutati capannoni e svincoli stradali, abbandonati gli interstizi periferici della metropoli, si arriva finalmente dove la pianura è davvero pianura, piatta, senza ostacoli all’orizzonte che non siano le Alpi verso Nord e gli Appennini verso Sud. La pianura e la campagna nel Lodigiano non sono concetti astratti, da sussidiario, ma un’esperienza quotidiana. Un mondo reale fatto di sveglie quando il sole ancora temporeggia, di lavori agricoli che non sono il piccolo orto ma le grandi distese delle fattore industriali, segno distintivo del paesaggio di un’area fertile come poche altre in Italia. Fertile perché così da quasi dieci secoli l’ha resa l’uomo: almeno da quando, era il 1220, iniziarono i lavori per il canale della Muzza. Pianura irrigua si dice, terre un tempo paludose bonificate nei secoli con un sistema di fossi, rogge e canali che a poterli vedere dall’alto diventerebbero come una scintigrafia del terreno. Segni che raccontano la storia dell’evoluzione di un paesaggio naturale che più umanizzato non potrebbe essere. Solitario perché poco abitato, umanizzato perché artefatto. 

Paesaggio che ha un fascino discreto, tranquillo non certo eclatante. Fascino che si coglie camminando nelle ore marginali, quando se fai troppo rumore calpestando il terreno nove volte su dieci disturbi un airone che poi è costretto a dispiegarsi in volo, maestoso e leggero. Terre che ammiri se ti inoltri in bicicletta, seguendo le sterrate– strade bianche le chiamerebbero altrove dove sanno di marketing territoriale – che tagliano i campi. Strade paradossalmente curve, storte in un territorio senza ostacoli, perché solo gli ingegneri che non hanno legame con la terra le tirano dritte. I contadini un tempo lasciavano che seguissero il percorso di rogge e fossi, ogni metro quadrato arabile era importante. Strade che congiungono cascine e frazioni, aggirano paesi costruiti in zone il più possibile protette: perché la pianura è bella, senza asperità. Ma i fiumi, l’Adda, il Lambro, il Po, quando uscivano, uscivano: invadevano tutto senza contegno, senza riguardi.

Paesi agricoli, certo: è la prima cosa che specifica la Guida Verde della Lombardia. A legger le statistiche l’oro di queste terre è bianco: latte che diventa Granone Lodigiano, capostipite di tutti i grana. O che nella modestia dell’anonimato produttivo – chi pensa al latte quando mangia un formaggio ? – finisce nei formaggi che compriamo al supermercato. Paesi di campagna, dall’aspetto del «centro agricolo padano», che per secoli sono cresciuti legati alla terra, ancorati al lavoro, ma hanno sviluppato castelli sontuosi: come quello visconteo di Sant'Angelo Lodigiano; quello di Fombio che sembra un palazzo; o il castello di Somaglia che è più una residenza signorile che un fortilizio. E non mancano le residenze signorili (a qualcuno dovevano appartenere le proprietà di quelle ricche terre), come la barocca e imponente villa Litta, a Orio Litta. Ma ci sono anche torri di solidi mattoni, come la torre della Pusterla a Casalpusterlengo e immancabili santuari, come quello della Madonna delle Grazie, a Codogno.

Santuario delle Grazie, Codogno - foto Wikipedia Commons

Oltre c’è il Po che scorre incurante, chiuso nei suoi massicci argini, indisturbato dalle barche che ormai da tempo non lo solcano più. Dall’alto della strada arginale, che sta più in alto dei campanili delle chiese e più in basso solo dei tralicci dell’elettricità, si osserva bene il paesaggio del Lodigiano: da un lato l’acqua, qualche cava di sabbia, dei rari ristoranti con atmosfera da balera estiva anni Settanta, dall’altro la sterminata campagna. Il Po, dicono i libri, segna storicamente il confine tra Lombardia ed Emilia, tra pianura e pianura, campi e campi, nebbie e nebbie. Come se potesse essere un confine amministrativo a interrompere il paesaggio, a dissolvere le nebbie.

INFORMAZIONI
Guida Verde Lombardia, da acquistare nei Punti Touring, in tutte le librerie e online sul nostro store. Dal 18 marzo la spedizione è gratuita! 
 
17 Marzo 2020

Passeggiata nel centro di Milano, alla ricerca di angoli nascosti e chiese segrete

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Stefano Brambilla
Itinerario fuori dal consueto, da sperimentare quando l'emergenza sarà finita
Passione Italia. A fronte del forte momento di difficoltà che il Paese sta attraversando e per ricordarci tutti insieme che possiamo essere uniti anche a distanza, anzi soprattutto stando a distanza, il Touring lancia Passione Italia, una campagna per promuovere il territorio italiano e le sue bellezze. Un invito a tutti a “viaggiare da casa”, per scoprire e riscoprire ciò che ha da offrire il nostro Paese, semplicemente dal computer o smartphone. Scoprite tutti i contenuti su www.touringclub.it/passioneitalia e sui canali social dell'associazione. E contribuite alla mappa della bellezza con #passioneitalia #mappadellabellezza.     
 
Capita spesso che amici che vengono da fuori ci chiedano consigli per una passeggiata “insolita” nel centro di Milano. Amici che magari sono già stati in città, hanno già ammirato le guglie del Duomo viste dalla sua terrazza, o sono stati abbastanza previdenti (e fortunati) da prenotare la visita al Cenacolo con settimane di anticipo. Ecco, a questi amici noi consigliamo un itinerario simile a quello che segue, rimanendo nel nucleo più storico e classico di Milano, entro la prima “cerchia”, come dicono i milanesi, ovvero il primo anello della circonvallazione, dove una volta passavano i Navigli. Un itinerario passeggiando tra meraviglie ancora nascoste anche agli occhi degli stessi milanesi, che spesso affollano le vie dello shopping ma non mettono il naso qualche vicolo oltre. Ci si mette un pomeriggio o un intero weekend, a farlo tutto, naturalmente dipende dall'andatura... Ritorneremo anche noi su questi passi: sarà ancora più bello ripercorrerli, una volta terminato il necessario confinamento a casa.
 
Si parte da piazza del Duomo. Appena dopo Palazzo Reale, sulla destra, si imbocca via Palazzo Reale (dove è stato ambientato più di un film a carattere storico), si attraversa via Larga e si giunge in via S. Antonio. Qui, sulla sinistra, ecco subito la chiesa di S. Antonio Abate: tanto anonima all'esterno, quanto stupefacente all'interno, con stucchi, capitelli, pareti affrescate che la rendono uno dei gioielli del barocco lombardo. Tutto è splendente grazie a un restauro terminato nel 2007, che ha tolto secoli di nero e di sporco. I Soci Volontari Touring che vi accolgono – nell'ambito del progetto Aperti per Voi - potranno indicarvi i tesori da non perdere. Proseguendo per via S. Antonio si arriva in pochi secondi in Largo Richini, davanti alla Ca' Granda: rimarrete stupiti davanti alla lunga infilata di portici dell'ex Ospedale Maggiore, ora affollati di studenti universitari. Se è possibile, entrate dal portale barocco nello stupendo cortile centrale seicentesco e poi in quelli laterali dell'ala quattrocentesca (sulla destra); e pensate al contrasto tra quando, in epoca sforzesca, qui venivano assistiti i malati poveri della città e quando, solitamente in aprile, designer di fama mondiale espongono qui le loro creazioni per il Fuorisalone. 
 

Sant'Antonio Abate - foto Touring
 
Uscendo dalla Ca' Granda, si tiene la sinistra costeggiando i portici, si passa dietro alle imponenti forme di San Nazaro Maggiore e si prende a destra il grande corso di Porta Romana, fino ad arrivare (in breve) a piazza Missori. Nel giro di poche decine di metri sono qui concentrate almeno tre piccole chicche: sotto la piazza stessa, la suggestiva cripta di San Giovanni in Conca, che racconta la storia della chiesa che fu abbattuta per lasciar posto alla piazza (entrate vicino all'area verde dietro alle rovine); con le rovine alle spalle, la via dirimpetto porta a piazza Sant'Alessandro, una delle più deliziose del centro milanese, che in primavera si riempie di studenti che prendono il sole sui gradini davanti alla chiesa; e poi a destra e ancora a destra, in una rientranza di via Torino, ecco S. Maria presso S. Satiro, il gioiello che non manca mai a lasciare a bocca aperta: perché il trompe l'oeil realizzato da Bramante, il gioco ottico che fa sembrare la navata della chiesa più lunga, è uno di quei capolavori da fotografare cento volte e da raccontare agli amici una volta tornati a casa. Sia nella cripta sia in S. Satiro trovate altri Soci Volontari Touring ad accogliervi. 
 
Cripta di San Giovanni in Conca - foto Gusmeroli
 
Via Torinoè una delle direttrici dello shopping: ci piace sempre pensare come al posto dei tram sferraglianti fino a non molto tempo fa c'era tutto un traffico di diligenze in partenza e in arrivo. Da qui è facile raggiungere S. Lorenzo e S. Ambrogio, le due grandi e venerande basiliche del centro di Milano – se non ci siete mai entrati, considerate una deviazione, anche se la passeggiata potrebbe diventare molto (più) lunga. Noi oggi vi vogliamo invece consigliare tutto il dedalo di viette e viuzze tra via Torino e via Meravigli, in cui perdersi e ritrovarsi, tra palazzi nobiliari e atmosfere d'un tempo, magari incappando in piazzette nascoste (quella davanti al Santo Sepolcro) e persino in resti romani dell'epoca dell'imperatore Massimiano (III secolo d.C.): le poche pietre dell'antico circo all'inizio di via Circo, appunto; e quelle, più interessanti, del palazzo Imperiale in via Brisa, con il bellissimo spazio da poco riqualificato e dominato dalla torre dei Gorani lì di fianco. 
 
Tra una via e l'altra sbucherete in via Meravigli. E qui non potete perdere un altro capolavoro che i Volontari Touring tengono aperto da lunga data. La chiamano la Cappella Sistina di Milano, San Maurizio al Monastero Maggiore: un epiteto altisonante, certo, ma che rende l'idea di ciò che vi aspetta quando varcherete un'altra anonima facciata. Subito sarete immersi in un tripudio di affreschi che ricoprono pareti e volte: sono tutti opera del Cinquecento Lombardo, maestri della cerchia di Bernardino Luini e Luini stesso. La meraviglia, tuttavia, aumenta ancora quando si capisce che quella di fronte non è una parete, ma un tramezzo che divide due spazi; e che al di là si apre il coro delle Monache, che un tempo era parte del complesso di clausura e che è altrettanto straordinario nel suo complesso pittorico. Cercate l'arca di Noè, la volta celeste costellata di stelle, le storie di Santa Caterina; e immergetevi nei colori sgargianti, ritornati alla luce dopo un grandioso restauro.
 
San Maurizio al Monastero Maggiore - foto Touring
 
Il Castello Sforzesco non è lontano, ma questa passeggiata si dirige invece verso Brera: prima via San Giovanni sul Muro, poi largo Cairoli, poi un tratto di Foro Bonaparte prima di infilare via Madonnina e via Fiori Chiari. Arriverete davanti al palazzo di Brera, un tempo sede della Compagnia del Gesù, poi – dal 1770 circa - sede di istituti scientifici statali: ed è proprio un paio di questi che consigliamo di visitare, capolavori della Pinacoteca a parte. L'Orto botanico, in primis, piccolo e inaspettato angolo di verde che bisogna meritarsi cercando l'ingresso tra le gallerie e i cortili del palazzo; e il Museo astronomico, con la sua galleria degli strumenti e l'interessante cupola con il telescopio di Schiaparelli (controllate gli orari e le modalità delle aperture e delle visite, in cui sono coinvolti anche i Volontari Touring). Non che il cortile centrale del palazzo, con l'imponente statua in bronzo fuso di Napoleone, passi inosservato... 
 
L'Orto Botanico di Brera - foto Getty Images
 
Uscendo da Brera, si costeggia il palazzo a destra, poi ancora a destra, poi ancora a destra: in poche parole, prendendo via Borgonuovo fino ad arrivare in via Manzoni. Portoni neoclassici di grandi palazzi lasciano a volte ancora intravedere gli spazi a verdi retrostanti. Qui il consiglio è di visitare almeno una delle due bellissime case-museo milanesi: il Poldi Pezzoli e il Bagatti Valsecchi, a poca distanza l'una dall'altra, piccoli gioielli ricchi di opere d'arte, testimonianze del gusto collezionistico ottocentesco. Quadri, oreficerie, vetrate, cassoni nuziali, smalti, tessuti, orologi, armi: ogni oggetto racconta una storia di gusto e di raffinata passione. Senza dimenticare le case vere e proprie, costruite a immagine e somiglianza degli illustri proprietari – alcune sale del Bagatti Valsecchi vi lasceranno di stucco, così come scoprire al Poldi Pezzoli un Piero della Francesca e un Botticelli
 
La Galleria d'Armi del Museo Bagatti Valsecchi - foto Museo Bagatti Valsecchi​
 
Ultimo passaggio, prima di tornare in Duomo, nella piccola piazza Belgioioso (raggiungibile tornando indietro lungo via Manzoni e poi piegando a sinistra in via Morone). Perché qui ci si inchina di fronte alla casa del Maestro Manzoni e alla maestria di Giuseppe Piermarini, l'architetto neoclassico che progettò la Scala e, nel 1772, il bel palazzo che vi si para davanti. La vietta che si dirige verso San Fedele regala subito un'altra sorpresa: la casa degli Omenoni, così detta per via delle otto grandi cariatidi scolpite in facciata da Antonio Abondio ed eretta nel 1565 - più simile a un palazzo fiorentino che a uno milanese. E per finire, prima di tornare in Duomo, San Fedele: un altro tributo a Manzoni, con la statua che lo ricorda in mezzo alla piazza; e la chiesa aperta dai Volontari Touring, elegante, luminosa, dove la rosea pietra d'Angera, proveniente dal Lago Maggiore, è tornata a splendere dopo un recente restauro. Pochi passi e si è di nuovo in Piazza Duomo, pronti a consigliare agli amici un itinerario sorprendente nel centro di Milano.

Piazzetta Belgioioso - foto Getty Images
 
INFORMAZIONI
- Informazioni generali su Milano sul sito yesmilano.it
- A causa dell'emergenza coronavirus, i luoghi Aperti per Voi dai Volontari Touring sono chiusi fino al 3 aprile. Per scoprirli tutti e essere aggiornati sugli orari di apertura, sito web www.apertipervoi.it
 
DA LEGGERE
Tantissimi i libri e le guide su Milano pubblicati dal Touring Club Italiano. Segnaliamo, da acquistare online a prezzi scontati - e la spedizione è gratuita dal 18 marzo:
- la Guida Verde Lombardia, edita nel 2018, con 432 pagine;
- la Cartoville Milano, edita nel 2017, con consigli originali e utilissimo formato tascabile;
- la Guida Verde pocket Milano e Laghi, 2019, con una carta generale del centro città.

 
30 Marzo 2020

Nel Monferrato, tra vini, castelli, infernot e goloserie

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Luca Sartori
Casale Monferrato, tra gli infernot di Cella Monte e Rosignano, i borghi di Moncalvo e Ozzano e la bagna caoda di Vignale
Passione Italia. A fronte del forte momento di difficoltà che il Paese sta attraversando e per ricordarci tutti insieme che possiamo essere uniti anche a distanza, anzi soprattutto stando a distanza, il Touring lancia Passione Italia, una campagna per promuovere il territorio italiano e le sue bellezze. Un invito a tutti a “viaggiare da casa”, per scoprire e riscoprire ciò che ha da offrire il nostro Paese, semplicemente dal computer o smartphone. Scoprite tutti i contenuti su www.touringclub.it/passioneitalia e sui canali social dell'associazione. E contribuite alla mappa della bellezza con #passioneitalia #mappadellabellezza.     

 
Emozioni e poesia, questo è il Monferrato. Una grande area geografica, Patrimonio dell'Umanità Unesco, che a nord si allunga fino alle risaie e a sud abbraccia Langhe e Roero, un’alternanza di colli e vallate, poggi e vigne, campi e boschi. Una gita nel Monferrato è un continuo, straordinario saliscendi che regala alla vista imprevisti nuovi scenari tra borghi e castelli, pievi e cascinali. Due sono le sue capitali. Una è Asti, suo cuore geografico, città ricca di storia e tradizioni. L’altra è Casale Monferrato (Al), più a nord, vivace centro culturale, porta del Monferrato verso la grande pianura e le vicine terre lombarde.


Paesaggio del Monferrato - foto Getty Images

LE MERAVIGLIE DI CASALE MONFERRATO
Casale fu distrutta dagli eserciti di Milano, Asti, Vercelli e Alessandria, preoccupati dalla potenza delle famiglie casalesi dell’inizio del XIII secolo. Oggetto di contesa tra le famiglie dei Grassi e dei Cane, passò sotto il dominio del Marchese del Monferrato Teodoro I Paleologo e, nella seconda metà del XVI secolo, sotto i Gonzaga, divenendo, proprio sotto questi ultimi uno dei centri più prestigiosi d’Europa. Prestigio che si apprezza ancora visitandone i tesori architettonici, gli edifici civili e religiosi, le piazze e i portici.
 
Tra i tesori della città c’è il castello, costruito nel 1352 da Giovanni II Paleologo, oggi importante polo culturale della città, con gli interessanti sotterranei e i cammini di ronda. A due passi dal castello c’è la chiesa di Santa Caterina, risalente ai primi del Settecento, progettata da Giovanni Battista Scarpitta e autentico capolavoro barocco. Nei pressi di Santa Caterina ecco il palazzo della marchesa Anna D’Alencon, mentre dall’altra parte di piazza Castello sorge il Teatro Municipale, inaugurato nel 1791, considerato all’epoca il miglior teatro del regno di Sardegna dopo quello di Torino. Su via Saffi, ricca di botteghe e negozi e dominata dalla torre civica, troviamo poi la chiesa di Santo Stefano che custodisce tele di Guala, Caroto, Cairo e del Moncalvo, e sulla cui piazzetta si affaccia palazzo Ricci di Cereseto dalla bella facciata con quattro grandi colonne in cotto.
 
Via Saffi giunge alla centralissima piazza Mazzini, con al centro il monumento equestre di Carlo Alberto di Abbondio Sangiorgio, sulla quale s’affaccia palazzo Fornara. Le tante botteghe del centro impongono qualche fermata per fare degli acquisti, tra cui qualche bottiglia di vino, i krumiri, tipici biscotti della città ricavati dall’impasto composto da burro, zucchero, farina e uova, e la muletta, il salame stagionato preparato con le parti più nobili del maiale. Da vedere anche la chiesa di San Domenico dal bel portale marmoreo rinascimentale, a tre navate con preziose opere tra cui una “Madonna con Bambino” di scuola fiamminga e dipinti del Moncalvo. Imperdibile infine una visita alla cattedrale di Sant’Evasio, in stile romanico lombardo, fondata nell’VIII secolo dal re longobardo Liutprando, dalla facciata a capanna, asimmetrica e incorniciata da due campanili laterali.


La cattedrale di Casale Monferrato - foto Getty Images

I BORGHI DEL MONFERRATO
Straordinari anche gli scenari collinari intorno a Casale, dominati da vigneti, castelli, paesi, enoteche e cascine. Tra i borghi più accoglienti ci sono innanzitutto due Comuni certificati con la Bandiera arancione: Moncalvo, sede dell’annuale fiera del tartufo e di altri eventi enogastronomici; e Ozzano Monferrato, dove oltre al castello si può scoprire un ricco patrimonio di archeologia industriale, a ricordo di un passato minerario testimoniato anche dal Museo MiCeM – Minatori e Miniere del Cemento del Monferrato Casalese. Tra i paesi più suggestivi c’è poi Cereseto, con il suo splendido castello neogotico ricco di torri e merli, e il borgo che par quasi timidamente addossarsi ai bastioni, mentre a pochi minuti ecco Ottiglio, dalla singolare disposizione a grappolo sulla collina, con castello e chiesa di San Germano che dominano il borgo, entrambi in mattoni e tufo.


Moncalvo, borgo Bandiera arancione - foto Comune

Un susseguirsi di poggi fanno da cornice alla strada che da Ottiglio porta alla volta di Sala Monferrato, dalla bella chiesa parrocchiale di San Giacomo che conserva tre opere di Guglielmo Caccia detto “il Moncalvo”; di Cella Monte, dal bel concentrico di origine medievale; di Rosignano Monferrato, situato su di un colle di roccia silicea dal bell’impianto medievale con vie strette e ripide, dalle interessanti emergenze architettoniche tra cui la parrocchiale di San Vittore, la torre civica, la chiesetta di Sant’Antonio e il castello; e di Vignale Monferrato, borgo che un tempo apparteneva al marchesato degli Aleramici. Dominato dalla chiesa parrocchiale di San Bartolomeo dalla facciata monumentale dall’imponente pronao classicheggiante, con all’interno affreschi di Morgari e un crocifisso del XVI secolo, Vignale è zona in cui si gioca al pallone elastico ma è anche terra di bagna caoda, tra i più tradizionali piatti piemontesi, preparata con aglio, acciughe e olio e da assaporare con ortaggi freschi tra cui verze, cardi, finocchi, sedano e topinambour. 
 
La bagna cauda - foto Getty Images

La costellazione di borghi di quest’angolo incantevole del Monferrato include anche Casorzo, terra del profumato Malvasia, tra i migliori vini da dessert italiani, vino rosso Doc lievemente frizzante la cui produzione è consentita nelle province di Asti e Alessandria; e poi Montemagno, tra i borghi più belli del Monferrato, caratterizzato dal suo pittoresco castello che, con i suoi merli ghibellini, le finestre ad arco acuto, la ricchissima fascia di corona, il giro d’archetti pensili e i fregi in cotto, è uno dei più interessanti dell’intera regione. Da non perdere una passeggiata per i suoi stretti vicoli medievali con i particolari ballatoi lignei, che conducono alla scenografica parrocchiale barocca dal bel colonnato che si affaccia su piazza San Martino. Ci sono poi Castagnole Monferrato, il paese del Ruché, pregiato vino rosso locale, e il recente Comune di Cuccaro e Lu Monferrato, formatosi nel 2019 dall’unione dei due borghi.
 

Paesaggio del Monferrato - foto Getty Images

I SAPORI TIPICI DEL MONFERRATO
In questa zona di Monferrato si viene per i dolci panorami, per le suggestioni dei borghi, per i pittoreschi castelli ma anche per sedersi a tavola per godersi una buona bagna caoda, un buon risotto con i funghi, un ricco bollito da assaporare con il tipico “bagnet”, la saporita salsa verde, e le tradizionali pere sciroppate.
 
Poi c’è il vino. Grignolino del Monferrato Casalese Doc, particolare per il suo profumo di chiodo di garofano, pepe bianco e lampone, Malvasia di Casorzo, il dolce rosso frizzantino e Ruché Docg di Castagnole Monferrato sono le tipicità locali, così come tipici di questa terra sono gli infernot, straordinarie celle sotterranee, interamente scavate nell’arenaria e solitamente attigue alla cantina, in cui la temperatura e l’umidità costante, l’assenza di luce, di spifferi di aria e di rumore garantiscono le condizioni ottimali per la conservazione del vino. Testimonianze uniche del sapere contadino del passato, gli infernot sono piccoli capolavori architettonici realizzati da costruttori locali dove imperdibile è una visita. I Comuni riconosciuti patrimonio dell'Unesco per queste straordinarie costruzioni sotterranee sono Camagna Monferrato, Cella Monte, Frassinello Monferrato, Olivola, Ottiglio, Ozzano Monferrato, Rosignano Monferrato, Sala Monferrato e Vignale Monferrato. 
 

Infernot a Ozzano Monferrato - foto Ecomuseo della Pietra da Cantoni (ecomuseopietracantoni.it)

INFORMAZIONI
- Sito web www.monferrato.org.
- Schede di Moncalvo e Ozzano Monferrato sul sito di Bandiere arancioni
- Guida Verde Touring Langhe Roero e Monferrato da acquistare scontata online sul nostro store: la spedizione è gratuita!
 
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31 Marzo 2020

Da Torino a Chieri, ode ai paesaggi piemontesi

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Luca Sartori
Piazze e monumenti, colline, passando da Moncalieri e Pecetto
 
Passione Italia. A fronte del forte momento di difficoltà che il Paese sta attraversando e per ricordarci tutti insieme che possiamo essere uniti anche a distanza, anzi soprattutto stando a distanza, il Touring lancia Passione Italia, una campagna per promuovere il territorio italiano e le sue bellezze. Un invito a tutti a “viaggiare da casa”, per scoprire e riscoprire ciò che ha da offrire il nostro Paese, semplicemente dal computer o smartphone. Scoprite tutti i contenuti sulla sezione dedicata del sito e sui nostri canali social. E contribuite alla mappa della bellezza con #passioneitalia #mappadellabellezza.
 
 
Torino / Getty Images
 
Dalla bella piazza Vittorio Veneto, tra i salotti di Torino, a piazza Gran Madre, al Monte dei Cappuccini a Villa della Regina. Poi il borgo antico di Moncalieri con il castello Reale, i ciliegi di Pecetto e la storia di Chieri, importante centro industriale del passato e terra del vino Freisa. E’ dalla più grande piazza porticata d’Europa, piazza Vittorio Veneto, che parte uno degli itinerari più ricchi di storia della collina torinese, che da Torino porta a Moncalieri, dominata dall’imponente castello Reale, prosegue alla volta di Pecetto, terra di campagne e ciliegi, per concludersi a Chieri, ricca di storia, vigneti e cantine.
 
TORINO, TRA PIAZZA VITTORIO E PIAZZA GRAN MADRE
Tanti antichi caffè, tra cui lo storico Caffè Elena, già frequentato da Cesare Pavese e Franco Lucentini, animano la bella piazza Vittorio Veneto, uno dei salotti più scenografici della capitale subalpina e tra i più suggestivi e privilegiati affacci sulla collina che fa da cornice a quella che fu la prima capitale d’Italia. 
 
Da una parte la collina, con i quartieri aristocratici della città, e dall’altra l’esteso centro storico del capoluogo piemontese, con l’imponente sagoma della Mole Antonellianae il campanile della chiesa della Santissima Annunziata, svettanti su via Po, storica e trafficata arteria che affonda nel ventre antico di Torino fino a sfociare nel suo cuore pulsante, piazza Castello
 
Torino, piazza Castello / Getty Images
 
Suggestivo il colpo d’occhio che da piazza Vittorio si gode volgendo lo sguardo verso piazza Gran Madre, al di là del fiume, con la chiesa della Gran Madre di Dio. Realizzata in stile neoclassico sul modello del Pantheon romano da Ferdinando Bonsignore, è dominata dal Monte dei Cappuccini, sede del Museo della Montagna Duca degli Abruzzi, che custodisce un ricco patrimonio dedicato all’alpinismo, all’esplorazione e a tutti gli aspetti legati alla montagna. 
 
Poco più in alto di piazza Gran Madre, ai margini della città, c’è Villa della Reginagioiello barocco torinese, sontuosa residenza di campagna con scenografici giardini, poi grotte, cascate, fontane e statue ai quali si aggiunge lo storico vigneto; all’interno dell’edificio un tripudio di stucchi e affreschi degli artisti della conte sabauda.
 
Villa della Regina / GettyImages
 
IL BORGO ANTICO DI MONCALIERI
È a una manciata di minuti da piazza Gran Madre, dopo aver percorso l’alberato corso Moncalieri, che si giunge a Moncalieri, importante centro della periferia sud di Torino
 
La storia ha visto le due città unite anche da una delle primissime linee ferroviarie italiane, inaugurata nel settembre del 1848, autentica rivoluzione nel sistema delle comunicazioni. Poi, appena cinque anni dopo, le due città piemontesi crearono un nuovo sbocco sul mare con il completamento della linea di collegamento con Genova.
 
Diviso tra la zona moderna, unita all’estrema zona meridionale del capoluogo, e il borgo antico, Moncalieri è dominata dall’imponente castello Reale, nel quale, il 31 ottobre 1732, morì Vittorio Amedeo II, il primo Re di Sardegna, mentre nel XVIII secolo ospitava i membri della casa reale per tutto il periodo estivo, per via del clima salubre della città e per le qualità salutistiche delle acque.
 
Dalla maestosa Sala della Regina ai suggestivi infernotti, il castello Reale di Moncalieriè una delle perle sabaude che consente di ripercorrere, nei suoi ambienti, la storia del nobile casato subalpino. Arroccato sullo sperone sudoccidentale della collina torinese, il borgo antico di Moncalieri ben si distingue dal resto della città, che si estende sulla pianura. Lambita alla base dal Po, la sua parteantica è ricca di edifici storici e chiese di pregevole fattura architettonica, a testimonianza dei secoli di storia moncalierese. 
 
Castello di Moncalieri / wikiimages
 
Cuore della città vecchia è piazza Maggioresede, fin dal Quattrocento, dun animato mercato. La piazza, anche grazie alla pendenza, offre un’apprezzabile spettacolo scenografico di chieseporticati, palazzi e vicoliche portano nelle varie zone del centro. 
 
Situata in posizione dominante, sul fianco del Palazzo Civico, c’è la collegiata di Santa Maria della Scalache, con il castello, è la più preziosa emergenza architettonica della città. Trecentesca costruzione in stile gotico-lombardo, presenta una maestosa facciata in cotto. Ricco di capolavori d’arte e d’arredo, l’interno propone, tra gli altri, la novecentesca statua della principessa Maria Clotilde di Savoia, il gruppo scultoreo tardogotico raffigurante il “Compianto Cristo morto” in arenaria dipinta, proveniente dalla Borgogna e risalente alla prima metà del XV secolo, la tribuna d’organo in legno scolpito risalente al 1709 e la settecentesca urna argentea, opera del Vernoni, contenente le reliquie del beato Bernardo II di Baden, patrono della città. 
 
Il castello di Moncalieri / Getty Images
 
I CILIEGI DI PECETTO 
C’è Pecetto sulla strada che da Moncalieri sale a Chieri. Situato su di un poggio a 400 metri d’altezza, domina la zona meridionale della collina torinesele pianure che si stendono allavolta delle terre di Cuneo. In primavera sono il bianco dei fiori di ciliegio e il verde chiaro dei prati a dipingere le sue colline, dove si mescolano natura e storia, profumi e sapori dell’antica tradizione piemontese. Tra i sapori di quest’angolo di collina torinese vi sono sicuramente le ciliegie, PAT della zona, ma anche le tante specialità servite nei suoi agriturismi e ristoranti, dal tradizionale fritto misto alla piemontese, ai tanti antipasti della tradizione, come il vitello tonnato. Tra i tesori architettonici di Pecetto vi sono la chiesa di San Sebastianoe la settecentesca chiesa di Santa Maria della Neve. 
 
I ciliegi in fiore di Pecetto / foto Comune di Pecetto
 
CHIERI, TRA TESORI ARCHITETTONICI E FREISA 
Pochi minuti dividono Chieri da Pecetto. Tra panorami e vigne si giunge in quella che nell’XI secolo era feudo di Landolfo, vescovo di TorinoProsperò come centro tessile, oggi celebrato nel Museo del tessile chierese, e proprio in quel luminoso periodo ebbe grande impulso anche quello sviluppo architettonico che ancora oggi si ammira visitando la città. 
 
Autentico tesoro di Chieri è il Duomo, tra i più preziosi esempi del Quattrocento piemontese, dalla facciata in cotto, con l’imponente campanile e il battistero. Ricco anche l’interno, a tre navate, con opere di artisti chieresi e piemontesi, tra cui gli affreschi che impreziosiscono il battistero, con scene della Passione di Cristo, la cappella di Gallieri, alla base del campanile, con scene della vita di San Giovanni Battista e tesori come reliquari e lavori di oreficeria di provenienza fiamminga.
 
Chieri, Sam Domenico / Getty Images
 
L’arteria che divide in due il centro storico della città è via Vittorio Emanuele II, impreziosita dal cinquecentesco Arco Trionfale, sulla quale si affacciano locali e botteghe, e dalla quale partono vicoli e strade alla volta delle altre zone della città. Tante le case e i palazzi d’epoca tardo-medievale e le chiese del centro storico tra cui la settecentesca chiesa di San Filippo Neri, la gotica chiesa di San Domenico con il trecentesco campanile cuspidato, la chiesa di S. Antonio Abate e la chiesa dei SS Bernardino e Rocco. Domina la città la chiesa di San Giorgio, dove anticamente sorgeva un castrum del X secolo
 
Dal suo sagrato di ammira uno splendido colpo d’occhio sulla città e sulle colline che fanno da cornice alla città, terre di vigne dove si produce la famosa Freisa di Chieri Doc, vino rosso frizzante tipico della zona, acquistabile nelle tante cantine della zona e servito nei ristoranti e nelle trattorie. Tra le delizie di Chieri non c’è solo l’ottima Freisa ma anche la sua deliziosa focaccia, assolutamente da acquistare e assaporare prima di salutare la città. 
 
La focaccia di Chieri / foto Turismo Torino e Provincia
 
A TORINO E IN PIEMONTE CON IL TOURING
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6 Marzo 2020

A Roma, alla scoperta dei segreti del Rione Ludovisi

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Paola Palmucci
Tra via Boncompagni e via Veneto le mille storie di palazzi, ville e grandi miti
 
Passione Italia. A fronte del forte momento di difficoltà che il Paese sta attraversando e per ricordarci tutti insieme che possiamo essere uniti anche a distanza, anzi soprattutto stando a distanza, il Touring lancia Passione Italia, una campagna per promuovere il territorio italiano e le sue bellezze. Un invito a tutti a “viaggiare da casa”, per scoprire e riscoprire ciò che ha da offrire il nostro Paese, semplicemente dal computer o smartphone. Scoprite tutti i contenuti sulla sezione dedicata del sito e sui nostri canali social. E contribuite alla mappa della bellezza con #passioneitalia #mappadellabellezza.     
 
In quest'articolo la nostra socia volontaria Paola Palmucci ci porta alla scoperta del rione Ludovisi a Roma, ricchissimo di storie e curiosità, meta di passeggiate organizzate lo scorso anno del Club di territorio della Capitale.
 

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Sì, io credo che se si fosse domandato qual era il più bel giardino del mondo, coloro che conoscevano Roma avrebbero risposto senza esitare: Villa Ludovisi. Fra le cose che, divenendo Roma Capitale d’Italia, venivan prima in mente a quanti conoscevano e amavano Roma, c’era la speranza che quei giardini, con le belle fabbriche e con le statue e i quadri in essi contenuti, diventassero di dominio pubblico e fossero facilmente accessibili. Predire che sotto il nuovo Governo la villa dovesse andare distrutta, come oggi accade, e gli allori, le querce, i pini abbattuti, come oggi li vedi abbattere, sarebbe stata allora un’offesa che neanche il più acerbo nemico della nuova Italia avrebbe osato recarle, perché sarebbe sembrata un’enorme follia.
La distruzione di Roma, Hermann Grimm, 1886

Com’è potuto accadere che uno dei luoghi più suggestivi della Terra, disegnato nel Seicento dall'architetto dei giardini reali di Versailles, il solenne André Le Nôtre, sia stato cancellato in nome della speculazione più sfrenata? Eppure è successo. Siamo nel 1883: è tempo di "febbre edilizia", il piano regolatore prevede la conservazione di Villa Ludovisi ma le immobiliari pagano bene, per i proprietari di terreni è l'occasione di fare fortuna. Perfino il governo ha preso di mira da qualche tempo il complesso. Nel 1884 si fa avanti il ministero dell'Interno, offrendosi d'acquistare parte del giardino per impiantarvi il nuovo complesso del Parlamento: Camera, Senato, Aula Magna per le allocuzioni reali e quant' altro occorre alle funzioni dello Stato appena nato.

La trattativa va per le lunghe, e Don Rodolfo Boncompagni-Ludovisi vuole concludere; si rivolge allora al Comune - retto da Leopoldo Torlonia - prospettando l'idea di un vasto quartiere alto-borghese da costruirsi sulle ceneri della sua villa. Il municipio tentenna, cerca un privato che si faccia carico dei lavori stradali e fognari. Ed ecco che interviene la Generale Immobiliare a chiudere il cerchio: si accolla la costruzione delle strade e l'onere della vendita dei lotti. Il 29 gennaio 1886 viene firmata la convenzione triangolare fra Comune, Generale Immobiliare e il proprietario. Alla fine dell’operazione la Generale Immobiliare realizza 15 milioni dalle vendite a fronte di ben 10 milioni di spese: i "soli" 5 milioni di profitto sono molto al di sotto delle aspettative.

Roma, d'altronde, si presenta in quegli anni come un grande cantiere: tutte le strade sono sventrate; nel 1875 viene ampliato il Corso, la Stampa ha la sede a palazzo Marignoli, altri quotidiani di primo piano sono collocati in altri palazzi nobiliari lungo la grande via. Ci sono già i Magazzini Bocconi (oggi Rinascente), caffè e locali alla moda. Anche Villa Borghese nel 1885 viene ceduta al Comune, attirando subito l’attenzione degli speculatori: grazie alla distruzione di Villa Ludovisi si potrebbe infatti realizzare una grande via di comunicazione, come prolungamento di via del Tritone appena completata, per collegare il centro storico/politico - che si era sviluppato intorno a Piazza Colonna - con Villa Borghese, il “Bois de Boulogne” della capitale italiana.

Nasce così via Veneto, la più bella via della Roma Umbertina, intorno alla quale si sviluppa un grande isolato con ‘ville’, ‘villini unifamiliari’ e ‘case da pigione’ per soddisfare le esigenze della borghesia che per la prima volta arriva nella Roma capitale d’Italia. La sua posizione alta, salubre, la vicinanza alla Stazione Termini risponde alle esigenze dei nuovi ceti emergenti che il neonato Stato unitario porta nella capitale. Roma si popola di uomini d’affari, ambasciatori, per i quali vengono costruiti alberghi di lusso ed edifici di culto diverso da quello cattolico. E così, a poco a poco nasce un rione dove si cimentano i più prestigiosi architetti dall’ultimo ventennio del 1800 fino agli anni quaranta del secolo successivo: il rione Ludovisi.


Veduta del Giardino Ludovisi di G. B. Falda​, 1695

RIONE LUDOVISI: VIA BONCOMPAGNI
La passeggiata inizia in via Boncompagni, che insieme a via Ludovisi è l’unico tratto viario appartenuto alla antica ‘Villa Ludovisi’. Nel Villino Boncompagni, che oggi è sede del Museo Boncompagni Ludovisi (al numero 18 della via), si ammira, nel Salone delle Vedute al piano nobile, l’affresco con un trompe l’oeil che rievoca il parco della perduta Villa. L’edificio fu progettato nel 1901 dall’ingegnere Giovanni Battista Giovenale e poi modificato nel 1932 dal principe Andrea e dalla moglie Alice Blanceflor de Bildt. Grazie alle volontà testamentarie della principessa oggi il Villino è diventato un Museo per le Arti decorative, il Costume e la Moda dei secoli XIX e XX, aperto ai visitatori grazie anche ai volontari di Aperti per Voi del Touring.


Entrata del Villino Boncompagni - foto Morganti

Lungo via Boncompagni è possibile ancora ammirare numerosi villini unifamiliari costruiti a partire dalla fine degli anni ottanta dell’800 fino agli anni trenta del ‘900. Sono tutti in stile eclettico con contaminazioni liberty: gli architetti cercarono di soddisfare i gusti dei proprietari che volevano replicare lo stile rinascimentale degli antichi grandi palazzi nobiliari. Questa scelta in nome di un ritorno ai canoni del ‘500 incontrò il favore sia di committenti quali i Boncompagni-Ludovisi che dei ricchi ‘mercanti di campagna’ come i Calabresi che scelsero G. Koch per rimanere fedeli allo ‘stile nazionale’.

Si passa poi davanti ai giardini del Villino Rattazzi, realizzato da Giulio Podesti nel 1899 per un familiare del celebre statista, al Villino Pignatelli di Giuseppe Mariani che ricorda Palazzo Rucellai a Firenze, al Villino Folchi che confina con l’Excelsior (numeri civici 12-10 di via Boncompagni). La presenza dei Ministeri portò a Roma un grande flusso di impiegati, i colletti bianchi. Anche loro aspiravano ad elevarsi socialmente attraverso la loro abitazione; per loro furono costruite le ‘case da pigione’ di livello elevato che si alternano lungo la via di villini. Appartamenti ampi (dai 70 ai 300 mq) con soffitti alti 4 - 4,5 m fatti da lunghi corridoi su cui si aprivano grandi stanze, case di lusso con l’elettricità, l’ascensore, i lavatoi all’ultimo piano e servizi igienici privati.


Villino Pignatelli - foto Bucci

Della antica Villa Ludovisi il principe Rodolfo riservò per la sua famiglia un appezzamento di terreno dove fece costruire una grande Villa dall’architetto più importante del momento, Gaetano Koch, il ‘Principe degli architetti romani contemporanei’. Il Palazzo Grandeè costituito da un insieme di edifici rinascimentali e ingloba anche un criptoportico degli antichi horti Sallustiani; avrebbe dovuto sostituire lo storico Palazzo Piombino che si trovava a Piazza Colonna, espropriato e demolito per attuare il Piano Regolatore. Nel 1882 la crisi edilizia colpì la famiglia Boncompagni Ludovisi che si vide costretta a vendere la proprietà; la rilevò dapprima la Banca d’Italia e nel 1900 fu acquistata dai Savoia per farne la residenza della Regina Madre, Margherita di Savoia, rimasta vedova dopo l’assassinio di Umberto I e da cui il Palazzo prese il nome.

All’incrocio di Via Veneto con Via Boncompagni il Principe Rodolfo fece costruire due villini per i figli, su progetto di G.B. Giovenale, collegati da una piccola ferrovia oggi scomparsa. In questi due villini nel 1931 s’insediarono la Missione Diplomatica e il Consolato degli Stati Uniti, dal 1928 Palazzo Margherita ospitò la Confederazione fascista degli Agricoltori per poi diventare di proprietà del Governo degli Stati Uniti alla fine della Guerra nel 1946. Dal 2004 appartiene all’Ambasciata americana anche il Palazzo dell’INA che si trova a Via Sallustiana, disegnato da Ugo Giovannozzi ed inaugurato il 30 ottobre nel 1927 nell’ambito delle celebrazioni per l’anniversario della marcia su Roma.  

A Palazzo Margherita la Regina allestì un ospedale per accogliere i feriti della Grande guerra, come ricorda una targa sul muro di cinta. Un’altra targa ci ricorda che qui fu ospitato il generale di brigata Robert T. Frederick, comandante del I raggruppamento servizi speciali americano che a capo della famosa Brigata del Diavolo (la Brigata che non fa prigionieri) guidò la prima truppa alleata che entrò a Roma il 4 Giugno 1944.



RIONE LUDOVISI: VIA VENETO
Giunti su Via Veneto una serie innumerevole di alberghi di lusso si mostrano con tutta la loro bellezza, ricchi di storie. L’Hotel Excelsior, al numero 125, è un capolavoro progettato dall’architetto Otto Maraini come residenza del fratello, grande industriale della canna da zucchero. Durante l’occupazione nazista vi alloggiarono molti ufficiali del comando tedesco della Wermacht, ma questo non impedì a René, che aveva il suo salone per capelli all’interno, di fornire molte informazioni ai partigiani romani. Poco più su, verso Porta Pinciana esiste ancora il Grand Hotel Flora (al numero 191) che appariva nella pubblicità della rivista ‘Emporium’. Anche questo albergo fu requisito dalla Wermacht che collocò al secondo piano l’alto comando della Gestapo dove alloggiarono il Presidente e i membri del Tribunale di guerra. Qui, il 19 dicembre 1943, i Gap piazzarono 4 bombe al piano terra; rimasero uccisi diversi tedeschi. 


L'Hotel Excelsior - foto Boccalaro

Ma non si può dimenticare che via Veneto è stata resa celebre in tutto il mondo da Fellini con il film ‘La dolce vita’ come cita la targa che gli è stata dedicata. Negli anni ’50 via Veneto era il salotto della vita letteraria e culturale italiana, i bar pullulavano di gente a tutte le ore del giorno e della notte. Di notte si potevano incontrare letterati e uomini politici seduti all’Harry Bar, al ‘Doney’ o al Bar Rosati che oggi non c’è più. Non c’è più neanche la famosa libreria Rossetti e il Cafè de Paris è stato riaperto solo recentemente. Negli anni ’60 arrivarono anche le star cinematografiche di tutto il mondo a farsi fotografare dai‘paparazzi’ sulla via della ‘Dolce Vita’ avvolta da atmosfere ‘felliniane’. 


In una intervista sull’Europeo il regista dichiarò: «Avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo. Ne sono lusingato. Cosa intendano gli americani con ‘felliniano’ posso immaginarlo: opulento, stravagante, onirico, bizzarro, nevrotico, fregnacciaro. Ecco, fregnacciaro è il termine giusto».


Fellini seduto al bar, 1960 - dal sito Roma Ieri Oggi, fotografo: Tazio Secchiaroli​

La nostra passeggiata si conclude tornando sui nostri passi in via Veneto: meta, al numero 70, l’Hotel Ambasciatori, oggi Grand Hotel Palace, costruito su un progetto iniziale di Carlo Busiri Vici e terminato nel 1925 da Marcello Piacentini per conto di Gino Clerici. A quel tempo la via era già tutta costruita e rimaneva solo un lotto di terreno, piccolo e irregolare, ma posizionato eccezionalmente proprio davanti la residenza della Regina Margherita. Qui si può avere la possibilità di entrare nell’hotel per visitare la meravigliosa “Sala Cadorin” dove si ammirano gli splendidi affreschi del pittore Guido Cadorin (1926-27) e si rievocano gli originali menù della cucina futurista.  Alla sinistra dell’ingresso una fontanella per cani del 1940, l’unica in tutta Roma. La tradizione vuole un cliente inglese dell’hotel avesse due cani e si trovasse nella difficoltà di farli bere. Il barman dell’hotel avrebbe avuto l’idea di far costruire la fontanella sormontata dalla sigla Abc (così veniva chiamato il bar, ma anche acronimo di Ambasciatori Bar Charlie)". 


Il gruppo dei Volontari e amici Touring di Roma
 
9 Aprile 2020
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